Dal lontano Myanmar, una voce sindacale ha raggiunto ieri il nostro Parlamento. La voce era quella di Maung Maung, Presidente della Ctum, la Confederation of Trade Union, Myanmar. La sede parlamentare era quella della Commissione Esteri della Camera. Mentre l’oggetto dell’audizione erano le conseguenze politiche del colpo di Stato militare del 1° febbraio di quest’anno. Colpo che ha portato allo scioglimento del Parlamento, eletto nel novembre del 2020, alla proclamazione dello Stato d’emergenza per almeno un anno e all’arresto del Presidente Win Myint, nonché della leader democratica Aung San Suu Kyi, molto nota anche all’estero.
L’occasione che ha portato il dirigente sindacale di un Paese del Sud-Est asiatico a dialogare col Presidente della Commissione, Piero Fassino (Pd), e altri parlamentari italiani è stata offerta dall’audizione dell’associazione Italia-Birmania.insieme, presieduta da Cecilia Brighi, ex sindacalista della Cisl.
Dopo l’introduzione di Fassino, e dopo la relazione di Brighi, è stata data la parola a Maung Maung che, collegato – è il caso di dirlo – da remoto, ha testimoniato che, in Myanmar si è sviluppato un ampio e pacifico movimento di disobbedienza civile, avverso al golpe militare. Manifestazioni hanno avuto luogo nella capitale, Yangon (ex Rangoon) e un po’ in tutto il Paese, con la partecipazione di molti lavoratori e lavoratrici “del settore pubblico, di quello privato e di quello informale”. In particolare, diffuse azioni di sciopero hanno bloccato gangli decisivi della vita economica del Myanmar, come il trasporto ferroviario e i servizi bancari, nonché le attività di estrazione petrolifera.
Maung Maung ha però anche denunciato che nel settore pubblico si sono già avuti circa 80 licenziamenti di funzionari e impiegati ministeriali, oltre a decine di arresti fra i manifestanti.
Non si può dire che il dirigente sindacale abbia voluto drammatizzare, con le sue parole, l’azione repressiva scatenata dai militari contro le manifestazioni per il ripristino della democrazia attualmente in corso nel Paese. Infatti, non ha fatto cenno alle notizie, riportate da varie fonti di stampa – tra cui, in Italia, Radio Radicale – secondi cui tra i dimostranti vi sono stati già parecchi morti, uccisi da proiettili di gomma o, più probabilmente, da proiettili tradizionali, sparati dai militari.
Tanto più, dunque, è suonato serio e grave l’appello lanciato da Maung Maung al termine del suo intervento, quando ha chiesto che il mondo democratico attui con urgenza “sanzioni forti” verso il regime militare. Maung si è detto consapevole che tali sanzioni finirebbero per colpire l’intera popolazione della ex Birmania (“soffriremo tutti”), ma ha anche aggiunto che tali sofferenze sarebbero accettabili, poiché si tratta di lottare “per il futuro” del popolo birmano.
Nella sua relazione introduttiva, Cecilia Brighi – che era accompagnata da un altro ex dirigente Cisl, Raffaele Morese, oggi impegnato anche lui nell’associazione Italia-Birmania. Insieme – ha peraltro ricordato che nel Myanmar l’esercito – denominato Tatmadaw – non costituisce solo una struttura militare nominalmente volta alla difesa del Paese, ma anche un attore economico di prima grandezza. Attraverso la Myanmar Economic Holding e la Myanmar Economic Corporation possiede, direttamente o indirettamente, più di un centinaio di aziende attive in diversi campi.
In altre parole, aggiungiamo noi, così come avviene anche in altri di quei Paesi che venivano chiamati un tempo “Paesi in via di sviluppo”, le Forze armate, oltre a debordare nella vita politica dai propri compiti istituzionali, e a svolgere improprie funzioni di tutori dell’ordine pubblico, svolgono anche funzioni imprenditoriali e sono quindi, per così dire, controparti dei sindacati. Controparti, però, tendenzialmente poco propense a istituire aperte relazioni industriali.
Brighi ha anche sostenuto che il golpe del febbraio scorso – avvenuto a pochi mesi di distanza dalle elezioni vinte dalla Lega nazionale per la democrazia, il partito guidato da Aung San Suu Kyi – è stato un golpe “non improvvisato”. Dopo che i militari si sono impossessati del potere, hanno infatti agito con grande rapidità, sciogliendo il nuovo Parlamento nel giorno stesso in cui avrebbe dovuto insediarsi, abrogando leggi varate negli anni più recenti a protezione delle libertà e ripristinando vecchie leggi risalenti alla precedente fase di dittatura militare. Inoltre, Brighi ha sostenuto, in modo esplicito, che i militari hanno avuto “il sostegno, diretto e indiretto”, di Cina e Russia.
Parole, queste, che saranno state ascoltare con grande interesse da Fassino che è certo un buon conoscitore della collocazione geostrategica del Myanmar, essendo stato nominato nel 2007 quale inviato dell’Unione Europea nell’allora Birmania.
Dopo l’audizione, la Commissione Esteri ha approvato una risoluzione in cui, premesso che “è responsabilità morale e politica della comunità internazionale e di ogni coscienza democratica non lasciare solo il Myanmar/Birmania nella sua lotta per la democrazia”, impegna il nostro Governo, in primo luogo, “a chiedere il rilascio immediato e senza alcuna condizione” di tutti gli “arrestati dalla giunta militare birmana”.
La risoluzione impegna inoltre il Governo “a chiedere in tutte le sedi competenti l’adozione di sanzioni mirate nei confronti degli autori del Colpo di Stato e di quanti si rendano responsabili della violazione dei diritti umani e civili”, nonché “ad assumere iniziative affinché il Consiglio affari esteri dell’Unione europea imponga sanzioni finanziarie mirate nei confronti di tutti gli interessi commerciali del Tatmadaw, scongiurando invece sanzioni generalizzate contro la popolazione civile”.
Lo stesso documento impegna poi il Governo italiano a “sostenere in ogni modo la popolazione del Myanmar/Birmania, condannando la repressione di attivisti, delle organizzazioni non governative, dei monaci, delle organizzazioni dei media e della società civile messa in atto dal Tatmadaw”:
Infine, la risoluzione impegna il Governo “a collaborare con i partner democratici a livello sia mondiale che regionale, e in particolare con i grandi player asiatici – Cina, India, Indonesia – e le organizzazioni regionali quali l’Asean per una soluzione pacifica della crisi in Myanmar/Birmania, promuovendo ogni iniziativa utile al ripristino della legalità democratica”.
Purtroppo, il corrispondente di Radio Radicale dal Sud-Est Asiatico, Francesco Radicioni, ha poi reso noto che, a fine giornata, la repressione militare delle manifestazioni in corso in Myanmar aveva fatto almeno altri 30 morti.
@Fernando_Liuzzi