Protagora non guardava la televisione. Ad Abdera, nel 400 avanti Cristo, avevano altro da fare. Democrito, ad esempio, era impegnato con l’idea dell’atomo. L’invenzione del tubo catodico poteva tranquillamente aspettare. Eppure, proprio nella città trace, si stavano mettendo le basi per i futuri talk show. Lui, il buon Protagora, era un sofista, un saggio. Per primo sostenne che “intorno ad ogni esperienza vi sono due logoi in contrasto tra di loro”. E sempre per primo, ricorda Socrate nei dialoghi di Platone, “trovò l’uso di fare discussioni per compenso”.
Un professionista della “varietà di opinioni”, forte della consapevolezza che “intorno ad ogni questione è possibile sostenere con perfetta validità tanto una tesi quanto quella contraria”. Ma non poteva prevedere che l’eristica, l’arte del contendere, dopo essere stata ripresa dal suo inconsapevole discepolo Aldo Biscardi con le baruffe sugli arbitri e i rigori concessi o negati, sarebbe degenerata dando vita alle dispute in diretta.
Come Gorgia, si interessava sia ai temi notevoli sia ai luoghi comuni. Però sarebbe rimasto sorpreso anche lui se un certo giorno, in una trasmissione, invece di ascoltare le sgangherate litigate sulla pandemia o sulla guerra, avesse assistito ad un appassionato confronto riguardo alle virtù casalinghe. Una diatriba tale da far ballare un matrimonio già periclitante. Altro che mascherina sì o mascherina no! Altro che scontri sulla validità dei vaccini! Altro che duelli verbali sulle armi agli ucraini! Altro che accuse incrociate tra guerrafondai e pacifisti! Altro che rimpallo di responsabilità da Putin alla Nato!
No, il quesito posto intorno all’ora di pranzo, propedeutico ad un’accesa discussione a tavola, era ben più insidioso. I calzini e le mutande devono essere stirati? Apriti cielo.
L’infervorata discussione vedeva contrapposte una suocera ed una nuora. La prima, tetragona sacerdotessa dei doveri muliebri, non ammetteva deroghe all’obbligo di passare gli indumenti intimi sotto il ferro bollente. La seconda, più laica e meno propensa al sacrificio casalingo, riteneva che fosse sufficiente piegarli e riporli nei cassetti in maniera acconcia. Tra le due, stupidello ed egoistuccio, un figlio e marito con un evidente apprezzamento più per le cogenti prescrizioni della mammina che per la rivendicata indipendenza della moglie.
L’apparente futilità dell’argomento nascondeva, di fatto, questioni ben più serie e profonde. E, al di là delle dinamiche e dei simbolismi affettivi e psicologici, riproponeva quel contrasto tra vero e utile che ha esposto Protagora all’accusa di relativismo etico e di ateismo, tanto che ad Atene i suoi libri furono bruciati nell’agorà. Se l’uomo è la misura di tutte le cose, la sua affermazione più famosa, infiniti sono gli atteggiamenti possibili. Ognuno, almeno a casa propria, faccia un po’ come gli pare e gli viene meglio.
Lo stesso pensatore ammetteva la necessità di mettere dei confini a questo estremo individualismo. Ecco, spiega Guido De Ruggiero nella sua Storia della Filosofia greca, il ricorso “alla convenzione degli uomini per dare una certa stabilità al flusso sensibile e per determinare una certa zona abbastanza immune dalle maree, dove essi possono accordarsi e intendersi”. Le regole di convivenza, nella polis, determinano così un concetto sociale di quel che è giusto o ingiusto.
Questo non si applica, ovviamente, ai piani più alti e a quelli più bassi dell’empirica conoscenza. Non possono cioè esserci risposte universali né riguardo all’esistenza di qualche supremo essere creatore né, aggiungiamo noi, rispetto al modo di trattare il bucato.
“Intorno agli dèi – dice Protagora in un frammento a lui attribuito – non posso pronunziarmi, se sono o non sono; molte cose mi impediscono di saperlo, l’oscurità del problema e la brevità della vita umana”. Lo stesso vale per la biancheria personale.
“Uno nasce, e poi muore. Il resto sono chiacchiere”, sentenzia, sprofondato in poltrona, un immoto, cinico e rassegnato personaggio di Altan.
Ma, alla fine, i calzini e le mutande devono essere stirati?
Marco Cianca