Moratti sì, Moratti no. Da amici milanesi, sinceri democratici di sinistra, viene un grido di dolore per il vicolo cieco in cui è finita la possibilità di una candidatura comune sinistra-centro, nel nome di Letizia Moratti. Lo stesso grido di dolore viene da commentatori e opinionisti della grande stampa che, fino a ieri, condannavano il Pd per essersi venduto l’anima e l’identità, accettando l’accordo per un governo con i 5stelle nel 2019, ma ora non vedono perché i dem non debbano rinunciare all’identità pur di andare a correre sotto le bandiere di un nome forte, fino a ieri, del centro destra.
In un caso e nell’altro, a muovere il rimpianto – a sinistra – è l’apparente rinuncia ad approfittare della frattura e, forse, della frana della destra e, ancor più, della possibilità di battere, finalmente, Fdi, Lega e Fi, quale ne sia il costo, nella Regione-simbolo, soprattutto per Lega e berlusconiani.
In realtà, i numeri raccontano una storia abbastanza complicata.
Nelle elezioni di settembre, il centro destra in Lombardia ha preso il 50,6 per cento dei voti: 28,5 per cento i meloniani, 13,3 per cento le truppe di Salvini, 7,9 per cento Berlusconi e soci. Una fuga da Fratelli d’Italia verso un candidato più moderato come Moratti è improbabile, ma da Forza Italia e Lega è largamente possibile. L’ex sindaco di Milano può portar via anche 5 punti a Berlusconi e forse 3 o 4 a Salvini. Sommati al 10 per cento del duo Renzi-Calenda, sponsor ufficiali, Letizia Moratti si troverebbe con un patrimonio – sulla base dei risutati delle ultime elezioni – pari a circa il 18-20 per cento dei voti. Poi c’è il centro sinistra, dove il Pd (e non solo) a settembre ha messo insieme il 27 per cento. Una candidatura Moratti, come si è già visto, potrebbe erodere i consensi per il Pd, facendo salire i voti dell’ex sindaco ben oltre il 20 per cento.
Di fatto, Moratti e il candidato del Pd si troverebbero (o si troveranno) a confrontarsi intorno al 21-23 per cento dell’elettorato. E’ uno spartiacque. Con il centrodestra ridimensionato a poco più del 40 per cento, in un eventuale ballottaggio la Moratti, se superasse il candidato del Pd, si troverebbe ad affrontare lei, in prima persona, il leghista Fontana. E, recuperando i voti, rimasti orfani, del Pd ci sarebbero concrete possibilità di batterlo.
Solo che, in Lombardia, non è previsto nessun ballottaggio nelle elezioni regionali. Vince chi, nel turno unico, prende più voti e stop. Ovvero, la Moratti deve contare su un boom della sua candidatura, con frana clamorosa sia nel centro destra, sia nel centro sinistra, che moltiplichino i suoi voti fino ben oltre una soglia almeno del 30-35 per cento.
Possibile che i sondaggi che, certamente, sono stati commissionati dalla signora Moratti e dai suoi sponsor indichino come concreta questa possibilità. Che, tuttavia, non può non apparire incerta. Mentre, invece, appare largamente a portata di mano la vittoria di una coalizione che unisse Moratti e Pd. E, nelle sue prime dichiarazioni dopo l’annuncio della candidatura, Letizia Moratti ne pare del tutto consapevole e, anzi, desiderosa di realizzarla. Tanto più che, nella situazione in cui versa attualmente e nella confusione del suo elettorato, il Pd poteva essere seriamente interessato.
E, allora, la domanda è: la Moratti ci ha provato? Non occorre essere un maestro di tattica politica per immaginare come l’aggancio sarebbe potuto avvenire. Una telefonata a Letta: Enrico, sono pronta a frantumare il centro destra e togliergli il cuore in Lombardia. Se ci state, concordiamo il programma, vi prendete una vicepresidenza e assessorati cruciali, come la Sanità. Letta ci avrebbe pensato, poi sarebbe uscito allo scoperto qualche giorno dopo, dicendo ai giornali: il centrodestra è in frantumi, presto ne avrete la prova. E la candidatura Moratti sarebbe uscita come un progetto comune e condiviso.
Niente di tutto questo si è visto. La candidatura è stata annunciata a sorpresa e solo dopo la Moratti ha detto che sarebbe stata assai lieta di imbarcare il Pd, prendere o lasciare. Difficile trovare un modo più semplice per farsi dire di no.
Ma perché rinunciare a quello che il buon senso politico suggeriva? Probabilmente perché l’operazione Lombardia è solo una subordinata di una operazione politica più vasta e a livello nazionale. Letizia Moratti può anche sperare in una vistosa – anche se difficilmente decisiva – affermazione personale, ma, per Calenda e Renzi l’obiettivo è, non da oggi, un altro e copre tutti gli altri: spaccare il Pd per unirsi al troncone più sensibile al richiamo del centro.
E’ una operazione simmetrica a quella che, contemporaneamente, stanno portando avanti, scopertamente, Conte e i 5Stelle: spaccare il Pd e unirsi al troncone più a sinistra.
Paradossalmente, è dal versante dell’opposizione che, nei prossimi mesi, possono venire le maggiori sorprese. In fondo, la clamorosa affermazione di Meloni e Fdi rendeva inevitabile un rimescolamento nel centro destra. Una emigrazione delle componenti più moderate era, in qualche modo, scontata.
Dall’altra parte, invece, le traversie del Pd sono singolari. Quello che è, tuttora, il secondo partito del paese viene sottoposto ad un attacco concentrico da parte di due partiti, più piccoli, decisi a spolparlo. E’ la prova dello smarrimento della dirigenza dem, ma, forse, anche una sottovalutazione delle radici del partito nel paese. Che succederà? Il finale è tutto da raccontare.
Maurizio Ricci