Ieri pomeriggio, a Roma, la Camera dei Deputati ha ricordato l’on. Ludovico Vico, venuto a mancare l’8 settembre scorso. La notizia della scomparsa di Vico era stata data allora, sempre alla Camera, da Emanuele Fiano (Pd) che, in apertura di seduta, lo aveva definito “un signore”, nonché “un uomo buono, colto, gentile”. Ieri, nel suo intervento commemorativo, Matteo Colaninno (Iv), lo ha ricordato come un uomo che, nel suo impegno di deputato, si era mostrato come particolarmente esigente. E lo stesso Colaninno ha poi spiegato che aveva avuto rapporti ravvicinati con Vico quando quest’ultimo aveva fatto parte della commissione Attività produttive della Camera, e ciò mentre Colaninno stesso aveva responsabilità dirigenti per il Pd nel campo della politica economica.
Perché ricordare Vico sul Diario del lavoro? Perché ha impersonato, al meglio, una figura classica di dirigente di quello che una volta si chiamava movimento operaio.
Nato a Taranto nel 1952, Vico ebbe le sue prime esperienze di militanza col movimento studentesco nel ‘68, quando aveva appena 16 anni. Nel ‘77, a 25 anni, si iscrive alla Fillea, il sindacato Cgil dei lavoratori delle costruzioni, il settore in cui lavora come operaio. Nel 1981 arriva il suo primo incarico di responsabilità nel sindacato, come dirigente di zona della Cgil. Nel 1983, a 31 anni, entra nella Segreteria della Federbraccianti pugliese, mentre nel 1993 assume quello che sarà l’incarico più importante della sua carriera sindacale: Segretario generale della Camera del lavoro Cgil di Taranto. Infine, nel 2001 Vico entrerà a far parte della Segreteria regionale della Cgil Puglia.
Secondo una schema classico di quella che è stata una lunga fase della nostra storia politica e sociale, Vico affianca alla militanza sindacale quella politica, quale iscritto prima al Pci e poi – via, via – al Pds, ai Ds e al Pd.
Nel primo decennio del nuovo secolo, Vico lascia il sindacato e assume l’incarico di Segretario provinciale dei Ds di Taranto. Incarico cui si aggiunge quello di capogruppo degli stessi Ds nel Consiglio comunale della città jonica. Infine, nel 2006, arriva l’elezione alla Camera, per la circoscrizione Puglia, nella battaglia elettorale che segna la vittoria dell’Ulivo, guidato da Romano Prodi, sul centrodestra di Silvio Berlusconi.
Dopo due anni, le divisioni all’interno del centrosinistra portano alla caduta del secondo Governo Prodi e alle elezioni anticipate del 2008. Elezioni nelle quali Vico si vede confermato quale deputato pugliese, in questo caso per il Pd. Alle elezioni del 2013, Vico risulta secondo dei non eletti, ma nel 2015 tornerà alla Camera per la terza volta in seguito alle dimissioni da parlamentare dell’ex ministro Massimo Bray.
A parte la notorietà indubbiamente conquistata sul piano locale e regionale, non si può certo dire che Vico sia mai assurto a una diffusa notorietà nazionale, quella che solo i media possono regalare.
Ma già le parole di Matteo Colaninno che abbiamo sopra riportate ci dicono quale fosse il tipo di fama che si è legata al nome di Ludovico Vico. Che ha fatto parte di quel tipo di dirigenti del movimento dei lavoratori che sono esigenti con gli altri quando si tratta di questioni che riguardano il mondo del lavoro e della produzione per due motivi. In primo luogo, perché sentono di non parlare solo a nome proprio, ma in nome di un movimento, di un vasto settore della società. E in secondo luogo, perché sono, prima di tutto, esigenti con sé stessi.
Altro che “uno vale uno”! Per Vico e per la cultura di cui è stato uno stimato rappresentante, tutti possono assurgere alle più alte responsabilità. Ma, ecco il punto, non dalla sera alla mattina. E il lungo e variegato cursus honorum percorso da Vico è lì a dimostrarlo.
Non vorrei che, a questo punto, si pensasse a Vico come a un uomo serioso. Tutt’altro. Chi, come me, ha avuto il privilegio di conoscerlo, ricorda una persona simpatica, aperta, cordiale, sorridente. Ma anche molto seria. E ciò sia da un punto di vista etico, perché partiva dalla convinzione che fare il rappresentante dei lavoratori non è un passatempo, ma un compito in cui mettere tutti sé stessi, sia da un punto di vista professionale, nel senso che chi si è assunto tale compito, come sindacalista o come membro di un’assemblea elettiva, deve essere competente, deve sapere di cosa sta parlando, deve studiare, deve capire. E credo che molti lo ricorderanno, in particolare, come uno dei dirigenti più competenti che il sindacato e la sinistra abbiano avuto per tutto ciò che riguardava, in generale, l’acciaio e, nelle sue molte specificità, l’Ilva di Taranto. Ovvero una vicenda infinita, e ancora non conclusa, che temo gli abbia procurato, in vita, qualche ingiusta amarezza.
@Fernando_Liuzzi