La Coldiretti organizza per martedì 6 marzo una manifestazione a Rosarno per chiedere alla multinazionale Coca cola maggiore trasparenza nella filiera, iniziando col rendere pubblica l’origine dei prodotti contenuti nell’aranciata Fanta, uno dei brand di punta del gruppo. Il diario ha chiesto a Pietro Molinaro, presidente della Coldiretti Calabria, di spiegare le ragioni alla base dell’iniziativa.
Avete deciso di manifestare dopo le voci sul mancato rinnovo del contratto tra la Coca Cola e l’industria di trasformazione agrumaria Antonino Branca S.p.A. Cosa è accaduto?
Dopo che l’inchiesta del giornale inglese Ecologist ha denunciato il fenomeno dello sfruttamento del lavoro collegato con la raccolta delle arance, la Coca Cola avrebbe disdetto il contratto con la Branca. La notizia è stata diffusa dalla proprietà della Antonino Branca. La multinazionale ha inizialmente negato che la disdetta fosse dovuta all’inchiesta sullo sfruttamento degli immigrati nella piana di Rosarno, scaturita dai fatti del 2010. Ma poi, a quanto ci risulta, ha preso contatti con i rappresentanti della politica locale e nazionale: il 6 marzo, infatti, si terra’ un incontro tra i dirigenti della Coca cola e il ministro dell’agricoltura Mario Catania.
Come funziona, o meglio, cosa non funziona, nel meccanismo della raccolta?
Le arance vengono vendute dai coltivatori diretti al prezzo “misero” di 7 centesimi al chilo alle industrie di trasformazione agrumaria della piana, che a loro volta le vendono alle multinazionali solamente a 1 euro e 70 centesimi al Chilo. Basti pensare che con un chilo di concentrato la Coca Cola fa cinquanta litri di aranciata.
Voi cosa chiedete?
Noi vogliamo che la Coca Cola e le altre multinazionali rimangano a Rosarno, ma anche che inneschino un processo virtuoso. In primis è necessario che le arance vengano pagate di più. Si deve poi garantire maggiore trasparenza indicando l’origine del prodotto.
Gli agricoltori, in cambio di un aumento del prezzo, sono disposti a certificare che i lavoratori non vengano sfruttati?
Certamente sì. Come Coldiretti è dal 2010 che diciamo che la precondizione per chiedere un prezzo maggiore per i nostri prodotti è la legalità e la trasparenza.
Lo sfruttamento dei lavoratori immigrati è figlio dei prezzi bassissimi a cui si vendono le arance alle multinazionali o anche della criminalità organizzata?
Sono due fenomeni interconnessi. Per poter essere concorrenziali gli agricoltori vendono i prodotti a prezzi ridicoli. Questo lascia spazio alla criminalità, che grazie allo sfruttamento può raccogliere le arance a prezzi bassissimi. Spesso lo fa contro la volontà degli agricoltori che però difficilmente riescono a ribellarsi ai caporali.
Alla fine questo meccanismo può convenire anche alle multinazionali?
Probabilmente sì.
Allo Stato italiano cosa chiedete?
Di cambiare la legge sulla percentuale minima di arancia che deve essere contenuta in una bibita perché possa chiamarsi aranciata, e che vari il decreto attuativo della legge sull’etichettatura del 2011. La trasparenza dell’etichetta è l’unica cosa che può permetterci di interrompere questa spirale. Se è indicata la provenienza delle arance noi potremo sfidare gli altri paesi sulla qualità oltre che sul prezzo. E il consumatore potrà liberamente scegliere il prodotto che vuol bere. Ma se sulla lattina sono indicati solo gli ingredienti e non la provenienza il consumatore non potrà scegliere in base alla qualità o alla garanzie che la bibita rispetti le leggi sul lavoro, sull’ambiente o le regole sanitarie.
Invece di vendere il prodotto concentrato alle multinazionali, non si potrebbe favorire la crescita di aziende calabresi o italiane che producano direttamente aranciata?
Purtroppo oggi nel settore vi è un monopolio delle multinazionali, anche grazie alla pubblicità e alla capacità che hanno di comprimere i prezzi. Se però fosse garantita la trasparenza delle etichette si potrebbe sfidare le multinazionali in base alla qualità. Se la Coca Cola vuole comprare le arance in Brasile è libera di farlo, ma il consumatore lo deve sapere e sceglierà in base alle sue preferenze. In questo caso noi siamo pronti a sfidare il mercato perché siamo sicuri della qualità dei nostri prodotti. Così come siamo ben contenti di vendere gli agrumi anche alla Coca Cola, ma chiediamo che l’azienda paghi il prodotto secondo il reale valore che ha e che scriva la provenienza. In cambio garantiremo all’azienda che il prodotto è il migliore.
Dopo la rivolta dei lavoratori immigrati del 2010 la situazione è migliorata?
In parte sì. Per esempio sul fronte abitativo. Ancora c’è da lavorare e il modello deve essere quello sud tirolese: nella regione, grazie al fatto che le mele sono ben pagate, gli agricoltori hanno i soldi per garantire, senza l’aiuto dello stato, degli alloggi dignitosi a tutti i lavoratori.
Luca Fortis