Se giustamente anche gli amici de “Il Diario del Lavoro” hanno posto l’accento sull’importanza del documento elaborato dalle principali associazioni datoriali, così come sulla disponibilità data, pur con toni diversi, da Cgil, Cisl e Uil ad un confronto di merito, ai più sono sfuggiti i documenti (o meglio, i pareri) forniti da istituzioni come il Consiglio di Stato e l’ANAC. Con alcuni passaggi che evidenziano anche una positiva (a mio parere) e raffinata conoscenza delle relazioni industriali per come, concretamente, garantiscono le tutele dei lavoratori italiani e contrastano forme (più o meno) esplicite di concorrenza sleale o di “ribassi” mascherati.
Se l’ANAC stronca sul nascere le ipotesi di modificare l’articolo 119 (subappalto) che ad oggi prevede la tutela rafforzata dell’applicazione del medesimo CCNL dell’appaltatore anche ai lavoratori in subappalto (traduzione rigida per principio della “parità di tutele economiche e normative” che è in “re ipse” se a tutti i lavoratori si applica lo stesso CCNL, in una sorta di rivisitata e parziale reintroduzione dell’articolo 3 della legge 1369 del 60), più articolate sono le riflessioni del Consiglio di Stato che smonta praticamente l’intero impianto dell’Allegato I.01 proposto dal Governo.
Già nel commentare le modifiche all’articolo 41 il Consiglio di Stato infatti scrive “Quest’ultimo riferimento normativo alla dimensione e alla natura giuridica delle imprese suscita qualche perplessità per l’indeterminatezza e la non chiara univocità applicativa del criterio”.
Soprattutto, oltre a denunciare una scarsa logica nelle disposizioni proposte nell’Allegato I.01 (“l’articolo 2, comma 4, risulta privo un percepibile coordinamento con i commi che lo precedono. Esso stabilisce infatti un obbligo di indicazione per le stazioni appaltanti e gli enti concedenti, che, in mancanza di indicazione dei presupposti di applicazione, risulta disomogeneo e assorbente, dal punto di vista logico – giuridico, rispetto a quanto previsto nei precedenti tre commi. Non si comprende quindi la sequenza eventualmente prospettata nella struttura dell’articolo, né emerge dalla documentazione di accompagnamento alcuna indicazione sul coordinamento e sulla apparente divergenza dispositiva e applicativa che emerge, allo stato, tra i due ordini di disposizioni”), il Consiglio di Stato contesta sia il riferimento alla presenza nel CNEL come indicatore di “rappresentatività” sia, soprattutto, i vari principi di equivalenza automatica tra CCNL.
Nello specifico, in relazione al criterio “componenti del CNEL” per essere “comparativamente più rappresentativi, il Consiglio di Stato scrive “si introduce, in riferimento all’applicazione del comma 4, un criterio suppletivo di cui non è chiara la coerenza e l’omogeneità (…). Pertanto, il suddetto comma 5 – che attribuisce la facoltà di verificare la rappresentatività delle associazioni rappresentative dei lavoratori e dei datori di lavoro sulla base della presenza di rappresentati […] nel Consiglio del CNEL” – appare obiettivamente apportatore di un incerto criterio suppletivo generalizzato, che rischia di vanificare il consolidamento e la coerenza nell’applicazione dei suddetti parametri. Se ne propone pertanto, anche in ragione di una prevedibile controvertibilità, l’espunzione dal testo”.
In materia di equivalenza poi tra CCNL, il Consiglio di Stato giunge ad una raffinata (ma anche tanto concreta) osservazione a cui difficilmente si può obiettare. E lo fa da diversi punti di vista.
Prima di tutto smonta il principio di “presunzione di equivalenza” per cui scrive “ l’articolo 3 (“Presunzione di equivalenza”) dell’Allegato introduce una presunzione legale – che non pare ammettere prova contraria – secondo la quale, ai fini della dichiarazione di cui all’articolo 11, comma 4, e della conseguente verifica, “si considerano equivalenti le tutele garantite da contratti collettivi nazionali e territoriali di lavoro, sottoscritti dalle medesime organizzazioni sindacali con organizzazioni datoriali diverse in base alla dimensione o alla natura giuridica delle imprese, a condizione che ai lavoratori dell’operatore economico sia applicato il contratto collettivo di lavoro corrispondente alla dimensione o alla natura giuridica dell’impresa”. “Si osserva – continua il Consiglio di Stato – che, dal dato testuale e sintattico (“sottoscritti dalle medesime organizzazioni sindacali”), sembra doversi supporre che la stessa organizzazione sindacale rappresentativa dei lavoratori abbia la medesima forza contrattuale per ogni contratto collettivo stipulato con le associazioni datoriali, a prescindere dalla dimensione e dalla natura giuridica delle imprese da esse rappresentate. In questo caso si rimette alle Amministrazioni proponenti la valutazione se la presunzione di equivalenza delle tutele enunciata sulla base del descritto presupposto risponda effettivamente alle dinamiche delle relazioni sindacali. Inoltre, la medesima formulazione, per l’indeterminatezza dei criteri della “dimensione” e della “natura giuridica dell’impresa”, non accompagnati da parametri specificamente individuati, eventualmente di carattere dimensionale, non concorre a circoscrivere in modo adeguato la discrezionalità delle stazioni appaltanti e degli enti concedenti nelle valutazioni di equivalenza delle tutele (come già sostanzialmente rilevato con riferimento alla novella dell’articolo 41)”.
Quindi mette in risalto la delicatezza del principio di “scostamento marginale” in caso di verifiche di equivalenze non legate alla dimensione o natura giuridica di impresa per cui “per il caso di indicazione da parte dell’operatore economico di un contratto collettivo diverso da quello indicato nei documenti di gara, si stabiliscono criteri per la valutazione di equivalenza da parte della stazione appaltante o dell’ente concedente. In merito a tali criteri si osserva che andrebbe valutato il potenziale eccesso di scostamento cumulativo, e di conseguente controvertibilità in giudizio, del concetto di marginalità degli scostamenti di cui all’articolo 2, comma 4, ove, come appare logico, si debba considerarli complessivamente. Si fa, in particolare, riferimento alla previsione implicita, ma necessaria, per cui lo scostamento, sia pur marginale, possa simultaneamente riguardare tutti o quasi i parametri del comma 3, derivandone una sommatoria di scostamenti marginali il cui risultato potrebbe essere sostanzialmente rilevante e contraddittorio rispetto all’effetto di equivalenza”.
Anche perché, per esempio in riferimento al costo del lavoro, sempre il Consiglio di Stato chiosa con un richiamo alla verifica sostanziale dell’equivalenza che rimanda anche al corretto inquadramento dei lavoratori. Al riguardo scrive: “si osserva che, essendo il contratto collettivo una “fonte autorizzata dalla legge”, la sua indicazione potrebbe non essere autonomamente significativa ai fini di cui all’articolo 110, comma 4, lettera a). Piuttosto, l’oggetto della verifica dovrebbe essere, più logicamente, individuato nella concreta applicazione di tale contratto compiuta nell’offerta dell’operatore economico con riguardo al costo del lavoro e, non secondariamente, tra l’altro, con riguardo alla corrispondenza di inquadramenti, livelli e qualifiche del personale “impiegato” con le prestazioni richieste dall’oggetto dell’appalto”.
Infine, “ammazza” da un punto di vista procedurale (ancor prima che di merito) il rinvio ad un successivo Decreto del Ministero del Lavoro per la definizione di “quanto sia marginale e quindi accettabile uno scostamento” di tutele tra il CCNL indicato dalla stazione appaltante e quello (diverso) eventualmente usato dall’impresa.
“L’articolo 4, comma 5, rinvia ad un decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la definizione dei criteri per la determinazione delle modalità di attestazione dell’equivalenza delle tutele di cui al comma 4. Si osserva – scrive il Consiglio di Stato – che questa disposizione non è coerente con l’intento di mantenere l’auto applicatività del Codice enunciato nella relazione illustrativa e, comunque, essa dovrebbe avere come contenuto logico – giuridico necessario la precisazione del concetto di marginalità e la determinazione di una soglia oltre la quale il cumulo di scostamenti marginali conduca all’irragionevolezza del giudizio di equivalenza, in coerenza con quanto appena evidenziato”.
A conclusione di questo articolo vale, in sintesi, quanto scritto recentemente (si veda il bollettino ADAPT del 2 Dicembre scorso) anche da esperti non certo accusabili di estremismo come Giovanni Piglialarmi e Michele Tiraboschi per cui “le modifiche prospettate dal correttivo, oltre a impattare sulle procedure degli appalti pubblici (complicandole) e sui diritti dei lavoratori (peggiorandoli), rischiano oggettivamente di produrre danni rilevanti anche al nostro sistema di relazioni industriali nel suo complesso dando legittimazione e spazio ad attori privi di effettivo radicamento e rappresentatività, e cioè non riconducibili alla fattispecie sindacale di cui all’articolo 39 una volta letto in combinato disposto con gli articoli 1, 2, 3 e 35 della Costituzione, innescando così dinamiche dagli effetti incontrollati per la tenuta del sistema e della sua effettività, che è una effettività non solo di tutela ma anche di interessi. Il concetto stesso di equivalenza tra contratti collettivi finisce infatti per sminuire l’essenza di un contratto collettivo che, secondo l’indimenticata lezione di Ezio Tarantelli, nel suo celebre studio del 1978 sulla funzione economia del sindacato, non è un banale meccanismo di fissazione dei salari e neppure un equivalente funzionale della legge ma un delicato e complesso sistema politico, sociale e istituzionale per il governo della economia”.
A questo punto viene semplice (e di buon senso) la richiesta avanzata da molti alla maggioranza parlamentare chiamata in queste ore ad esprimersi nelle specifiche commissioni di Camera e Senato nonché allo stesso Governo: fermatevi. Sono evidenti le difficoltà a cui andranno le stesse amministrazioni pubbliche chiamate ad adottare norme così complesse, ambigue e che lasceranno tanta di quella discrezionalità da rischiare di favorire ulteriori ritardi o, peggio, pressioni e interferenze illecite oltre che contenziosi. Inoltre, è evidente che le modifiche proposte al Codice degli Appalti, in particolare in materia di corretta applicazione dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro, di subappalti, di equivalenza delle tutele economiche e normative, ecc. non convincono gran parte delle forze sociali ed economiche del paese, importanti esperti di diritto del lavoro, istituzioni come il Consiglio di Stato e l’ANAC, moltissimi parlamentari. A questo punto il Governo ritiri l’allegato I.01 proposto e avvii un confronto serio e di merito con le organizzazioni sindacali, a tutela dei lavoratori e delle tante imprese serie.
In caso contrario sarà evidente a tutti che al Governo non interessa far funzionare e meglio il Codice degli Appalti, tutelare lavoratori ed imprese, ma altro. E quell’altro mal si concilia con il bene pubblico.
Alessandro Genovesi – Cgil