“Il gruppo Bpm ha commesso un errore che ora fatica a gestire e che rischia di essere controproducente prima di tutto per i suoi interessi. L’aver spaccato in modo così netto il fronte sindacale, con i confederali, Uilca, Fisac e First, da un lato e gli autonomi, Fabi e Unisin, dall’altro è una cosa mai vista. A cosa pensa di arrivare Bpm portando avanti una trattativa in solitaria con gli autonomi, che non rappresentano la maggioranza dei lavoratori? Il contratto nazionale prevede che per arrivare a un qualsiasi accordo serve il 50% più 1 del totale, eppure Bpm si ostina nel dire che andrà avanti senza di noi, dimenticando che il sindacato è indispensabile per stringere accordi sul Vap, il valore aggiunto per dipendente, sul fondo Fba o sulla formazione” ad esempio. Sono queste le considerazioni di Paola Minzon, segretaria responsabile per Bpm della Uilca, relative alla situazione che si è venuta a creare nel gruppo.
La trattativa sul piano industriale tra Bpm e le rappresentanze dei lavoratori era iniziata lo scorso marzo. Un percorso che, spiega Minzon, aveva visto delle “uscite rivolte ad azionisti e mercato dell’amministratore delegato che, senza nessun raffronto con i sindacati, aveva prospettato un piano con 1.600 uscite e 800 ingressi, per andare a recuperare sui costi del contratto nazionale di lavoro”. Una trattativa che aveva visto confederali e autonomi procedere insieme, attraverso comunicati unitari, fino allo scorso 27 giugno. “In quella data – afferma la sindacalista della Uilca – l’azienda ha violato le regole delle relazioni industriali, affrontando il tema del fondo di solidarietà che era previsto per i tavoli del 10 e 11 luglio, e affermando che avrebbe continuato le trattative senza Cgil, Cisl e Uil, e solo con Fabi e Unisin”.
Una rottura dovuta al metodo e ai contenuti. “Ovviamente – continua Minzon –noi siamo disponibili a continuare il negoziato, e non accettiamo l’immagine di un sindacato riottoso o diviso diffusa dal gruppo. Ma il tavolo con i confederali deve avere la priorità. Inoltre abbiamo sempre condotto la trattativa tenendo ben separati i vari argomenti, cosa che Bpm non sembra più voler fare, e terremo il punto anche sulla questione delle uscite e delle assunzioni. Il sindacato non è un soggetto passivo e non capiamo il motivo dell’appiattimento sulle posizioni aziendali di Fabi e Unisin a cui sta bene diminuire gli organici di 815 persone”.
Di centrale importanza per il sindacato è la difesa del perimetro occupazionale. “La decisione di Bpm – dice Minzon – di scegliere la strada di un’entrata per due uscite è inspiegabile. Si parla di assumere alcune centinaia di lavoratori in aggiunta che sicuramente non hanno un costo così elevatissimo per la banca. Inoltre le trattative che avevamo condotto in altri gruppi, come Unicredit, Bnl e Bper, si erano concluse con esiti positivi per quanto riguarda il perimetro occupazionale, e quindi facevano ben sperare anche per Bpm”.
“Basta con il taglio degli organici e che la retorica che i gruppi bancari stanno vivendo un periodo di crisi. Questa – conclude Minzon – è una narrazione non più vera. Le banche, in questi mesi, hanno fatto registrare utili significativi che devono essere reinvestiti anche sul personale. Le banche hanno una valenza sociale molto forte nel territorio, e dotarle di un organico all’altezza e favorire il giusto ricambio generazionale significa programmare anche il loro futuro. Inoltre siamo un settore ad alta incidenza tecnologica, dove la presenza dell’intelligenza artificiale si farà sentire. Il sindacato è qui per governare questa rivoluzione e non farla subire ai lavoratori”.
Tommaso Nutarelli