Il Levy Economic Institute si trova ad un’ora e mezza dalla grande città di New York. Fa parte del Bard College, un’università tra le più avanzate per l’arte e la drammaturgia ma il Levy economic Institute si occupa di ben altro, di economia appunto. Il Bard College si estende sulle rive del fiume Hudson per decine di chilometri quadrati nel verde e nei boschi quasi al confine con il Canada, non sembra proprio di stare negli Stati Uniti. Studiare è un piacere, gli studenti hanno a disposizione tutti i confort e la pace necessaria per trovare la giusta concentrazione.
Dal 10 al 18 giugno si è svolta a cura del Levy Economic Institute, la settima edizione del Minsky Summer Seminar, aperta agli studenti di tutto il mondo. Hyman Minsky era un’economista americano, morto nel 1996, poco conosciuto soprattuto perché i suoi lavori sono sempre stati in controtendenza rispetto alla cosiddetta economia mainstream. Ancora oggi, le sue teorie vengono considerate “troppo” di sinistra ma i suoi lavori sono stati riconsiderati perché Minsky ha analizzato l’instabilità del capitalismo negli Stati Uniti e praticamente ha predetto la grande crisi finanziaria del 2008. Secondo l’economista americano, due sono i principali punti su cui si deve agire: il primo, pretendere un ruolo regolativo dello Stato anche in finanza attraverso politiche monetarie adeguate su cui si può agire recuperando la sovranità degli Stati; il secondo, la necessità di portare avanti la War Against Poverty attraverso il raggiungimento del “tight full employment”: lo stretto pieno impiego. Minsky e i suoi seguaci, infatti, sostengono che sia possibile raggiungere il pieno impiego, anche oggi, ed insieme alle politiche monetarie uscire, at least, dalla crisi. Ovviamente, dietro queste affermazioni ci sono studi, modelli, previsioni, proposte ed anche punti di riferimento concreti come Keynes e il New Deal di Roosevelt che hanno dimostrato come aumentare la domanda aggregata sia possibile e fattibile attraverso le politiche sul reddito. Allora venivano usati strumenti come l’ “Employers of Last Resort” che secondo gli economisti del Levy institute, cosiddetti post-keynesiani, sono strumenti adottabili per curvare la situazione attuale: nel momento in cui non c’è occupazione creata dalle imprese è lo Stato che si fa promotore e diventa datore di lavoro di ultima istanza. Un esempio è il Civilian Conservation Corps applicato negli Stati Uniti dal 1933 al 1942, una sorta di Servizio Civile italiano.
Secondo Minsky, il sistema capitalista dopo la seconda guerra mondiale ha raggiunto la stabilità e una crescita continua ma nonostante questo infestato dal germe della crisi: in poche parole intrinsecamente il capitalismo ha un’instabilità strutturale che porta alle crisi, tra cui quella attuale. Il Levy Economic Institute organizza la summer school da sette anni, quindi subito dopo lo scoppio della bolla dei mutui subprime aggiornando le teorie di Minsky alla situazione economica internazionale di oggi. Tra i relatori, il Presidente dell’istituto Dimitri Papadimitriou, il direttore Jan Kregel, Randall Wray Senior Scholar e Stephanie Kelton. Wray e Kelton sono stati consulenti economici della commissione riunita nel 2011 dal senatore Bernie Sanders per la riforma della Federal Riserve e hanno sostenuto il senatore durante la campagna presidenziale. Durante il Misky summer seminar, Kelton ha presentato una relazione sulla lotta contro la povertà negli Stati Uniti oggi, ovviamente in continuità con le teorie dell’economista Minsky. Ma tra i professori del Levy Institute anche due italiani Mario Tonveronachi, dell’Università di Siena, che ha partecipato al summer seminar con un focus sull’eurozona e Gennaro Zezza, professore dell’Università di Cassino, che insieme al giovanissimo professore greco Michalis Nikiforos hanno presentato i modelli Stock-Flow Consistent (SFC) applicati alla crisi in Grecia per mostrare gli effetti della cosiddetta Austerità espansiva e i possibili rimedi. Il Levy Institute e i suoi studiosi sono una voce fuori dal coro, fuori da quell’economia mainstream che ha determinato quelle scelte che ci hanno condotto all’attuale crisi.
Una delle principali lacune dei modelli neoclassici è l’assenza del settore finanziario ritenuto superfluo data l’imprevedibilità di “eventuali” shock esterni che possono essere attenuati lasciando piena autonomia ai mercati e alla loro venerata capacità di autoregolarsi in modo perfettamente efficiente. Nei modelli SFC, invece, tutto deve essere “a somma zero”, ovvero i flussi che entrano in un settore devono necessariamente uscire da un altro settore, tenendo in esplicita considerazione il settore bancario e i flussi e gli stock finanziari, ed è possibile effettuare delle previsioni macroeconomiche coerenti con le identità contabili, e dunque in grado di suggerire un valido orientamento per le politiche economiche. Il framework SFC è stato ideato da Wynne Godley e Marc Lavoie che hanno scritto nel 2007 il libro Monetary Economics: An Integrated Approach to Credit, Money, Income, Production and Wealth[1]. Il Levy instiute ha applicato questi modelli alla Grecia, agli Stati Uniti e sono ancora in corso diversi studi. Inoltre, ha avanzato delle proposte politiche per quanto riguarda la Grecia stessa, infatti, secondo gli studiosi seguaci di Minsky subito dopo la crisi il paese avrebbe dovuto riconquistare la sovranità monetaria senza la quale è impossibile applicare politiche monetarie adeguate e in secondo luogo avrebbe dovuto considerare la possibilità della doppia moneta, il Geuro con cui stimolare la domanda aggregata. Ma dopo dieci anni di crisi i problemi si sono moltiplicati e probabilmente le proposte avanzate dal Levy institute, nonostante siano recenti, non sono realizzabili se non a fronte di ulteriori sacrifici da parte della popolazione greca che già sta pagando le conseguenze nefaste della crisi. Sicuramente, molte delle proposte a livello generale, avanzate durante la Summer school, sono lontane dalla realtà; forse però, siamo così abituati al neoliberismo che qualsiasi proposta che possa migliorare a livello complessivo la diffusa disuguaglianza presente nei nostri Paesi ci sembra utopia o peggio ideologia, soprattutto nel momento in cui non esiste, dopo la caduta del muro di Berlino, un differente modello di sviluppo rispetto a quelli oggi esistenti che duri nel tempo. Di fatto in questo momento l’1% della popolazione mondiale detiene la maggior parte della ricchezza prodotta e in ambito accademico come in quello politico non sembra essere un problema da mettere in discussione. Che un college americano dia spazio a questo tipo di teorie non è poco!
Ma forse il problema fondamentale, e questo non compete al Levy Economic Institute, sono gli attori economici e sociali che dovrebbero spingere per una distribuzione più equa della ricchezza. Prima degli anni ’70 la richiesta di uguaglianza sostanziale è stata ottenuta, anche se parzialmente, grazie ad un secolo di lotte contro lo sfruttamento del lavoro, per l’allargamento di diritti civili, sociali e sindacali. Oggi in Europa, migliaia di persone scendono in piazza, dalla Grecia alla Francia contro i tagli alla spesa pubblica e alle riforme del mercato del lavoro, misure che secondo il Levy Insitute non aiuteranno ad uscire dalla crisi, ma su cui i governi europei non sono disposti a fare passi indietro continuando imperterriti sulla strada dell’austerity.
Infine, il Minsky summer seminar ha un pregio su tutti degno di nota: raccogliere decine di giovani economisti di sinistra provenienti da tutto il mondo per ragionare sulle possibilità concrete di un mondo differente a partire dal sistema economico. Quest’anno erano presenti studenti dal Brasile, Argentina, Messico, Giappone, Francia, Italia, Grecia, Germania, Inghilterra e Stati Uniti. Tutti estremamente appassionati e anche critici, menti pensanti insomma. La situazione degli studenti italiani conferma però l’enorme diaspora di giovani studiosi in giro per l’Europa o per il mondo. Tra tutti i presenti la metà proveniva da università del nord Europa e tutti con poche prospettive di ritorno in Italia se la situazione economica non cambia appunto. Perciò, quello che accomuna questi giovani studiosi non è solo la passione per l’economia ma probabilmente anche la consapevolezza della propria posizione sociale e per il momento nei Paesi da cui provengono la disoccupazione è uno degli scogli più importanti da affrontare. Il Levy Economic Institute propone l’uscita dalla crisi con la piena occupazione e politiche monetarie differenti da quelle applicate fino ad ora, proposte discutibili ma che sicuramente rappresentano un punto di vista differente da quelli conosciuti e che ha come obiettivo un sistema “sostenibile”: parole veramente nuove, conclusioni per il momento per pochi adepti ma che potrebbero essere un barlume di speranza per tanti. Qualcuno nel mondo accademico ha un punto di vista differente dal pensiero economico dominante.
Alessia Pontoriero
[1] Wynne Godley and Marc Lavoie, Monetary economics : an integrated approach to credit, money, income, production and wealth, Palgrave Macmillan, New York, 2007