Osservare per conoscere, conoscere per capire, capire per deliberare. Al centro di tutto c’è il concetto di fenomeno, letteralmente “ciò che appare”: un’entità ingannevolmente conoscibile tramite la percezione sensibile e che quindi non corrisponde all’oggettività. Il fenomeno delle migrazioni di massa si inserisce perfettamente in questa declinazione filosofica: qualcosa che semplicemente ci appare, che la popolazione conosce e interpreta solo attraverso le narrazioni ossessive dei media e le affabulazioni manipolatorie della politica di ogni orientamento; la paura che è il campo magnetico di questi ragionamenti emozionali e la rabbia diventa l’ago della bussola per orientarsi in questa confusione sistemica. Ma se è la volontà a guidare la conoscenza, quando questa non è governata dalla ragione si producono deflagrazioni sociali a cascata che allargano il cratere originario.
Le migrazioni fanno parte del nostro corredo umano più profondo: dai Sapiens ai Neandertal, l’uomo è nato per muoversi, per spostarsi, in cerca di circostanze più favorevoli al suo benessere di sopravvivenza, e solo in quel momento costituirsi comunità e integrarsi con l’ambiente. Ma non solo. Le merci, il denaro, le informazioni: tutto è movimento e scambio. Eppure oggi la mobilità è un concetto dalla doppia valenza: contemporaneamente qualcosa da difendere, rivendicare, valorizzare, e qualcosa da osteggiare, da impedire e combattere. Difendere la propria mobilità, combattere quella altrui, quella dello straniero. Ma perché? È qui che si inserisce il discorso della etero-rappresentazione del fenomeno migratorio, qualcosa che tutti vivono o subiscono direttamene o indirettamente, ma che nessuno profondamente conosce. Eppure se ne sente parlare così tanto. Ma probabilmente è proprio questo il problema: se ne parla in maniera talmente tanto compulsiva, si ripete così tante volte la parola “immigrazione” da svuotarla del suo significato più profondo, assegnandole invece una definizione grossolana che fa rima con “illegalità”, “problema”, “emergenza”, “violenza”, “(in)sicurezza”. Affabulazioni, si diceva, che le politiche surfano per raccogliere consensi, plasmate su ideologie o presunte tali che di base non hanno alcun fondamento; strumentalizzazioni superficiali di un fenomeno mai approfondito nemmeno da coloro i quali avrebbero il dovere di farlo, giacché la paura della violazione da parte dello straniero dello “spazio sicuro” è stata sperimentata come efficace arma elettorale.
A questo punto della storia, però, smentire queste narrazioni è un’urgenza di per sé non più prorogabile; riportare alla luce la multidimensionalità del fenomeno migratorio e ragionare coscientemente su di essa è di cruciale rilevanza. Ferruccio Pastore con Migramorfosi. Apertura o declino (Giulio Einaudi Editore 2023) e Stefano Allievi con Governare le migrazioni. Si deve, si può (Editori Laterza 2023) operano esattamente in questa direzione con due volumi complementari che provano a fendere la cortina di misconoscenza che pesa sul fenomeno dell’immigrazione. Voci autorevoli nel campo degli studi sulle migrazioni – Pastore è direttore del Forum Internazionale ed Europeo di Ricerche sulle Immigrazioni (Fieri) e precedentemente vicedirettore del Centro Studi di Politica Internazionale (Cespi), Allievi professore di Sociologia e direttore del Master in Religions, Politics and Global Society presso l’università di Padova, che si occupa di migrazioni in Europa e analisi del cambiamento culturale e del pluralismo religioso – gli autori nei rispettivi volumi operano una puntuale disamina dei principali aspetti del fenomeno migratorio con un punto di vista lucido e pragmatico, mettendo da parte ideologie e partigianismi per far spazio al ragionamento imparziale e alla comprensione pressoché complessiva dell’oggetto. Lo stesso Allievi precisa questa metodologia in apertura del suo volume: «Un tentativo di ragionare pacatamente e convincere razionalmente: con rigore, serietà e passione civile», con un «atteggiamento pragmatico e realistico, in una logica del problemi solving e orientata alla gestione, che mira soprattutto, più che a con-vincere, a ragionare insieme». Le migrazioni, appunto, sono viste come fenomeno di contingenza, che fanno parte del nostro tessuto socio-economico e socio-politico da sempre, non quindi una novità piombata dall’alto all’improvviso. Sono le strumentalizzazioni politiche ad attivare quello che il sociologo Marcello Maneri ha definito «ciclo di attenzione emergenziale», come rileva Pastore a proposito dell’innesco delle paure nella popolazione autoctona (Ilvo Diamanti ha definito, appunto, la paura lo «strumento forte della politica»). «Oltre a quello del 2007-2009 – continua Pastore – (che definisce “emergenza rom/rumeni”), Maneri individua anche come particolarmente impostanti i cicli del 1997-2001 (“emergenza albanesi”) e del 2015-18 (“crisi dei migranti”)». Ma quello che è importante in questo senso, per Pastore, è «disinnescare il ciclo dell’emergenza e spezzare la catena della paura», ma non giudicandola o aggredendola, sostiene Allievi, perché «“a paura è un sentimento che va compreso […] l’unico modo di superare le paure è mostrare che interessa farlo, che la capiamo e ne capiamo le ragioni, che ne teniamo conto e teniamo conto di chi l’ha espressa […] non facendolo si ottiene l’incattivirsi di reazioni di chiusura aprioristiche e una polarizzazione che rende l’affrontare i problemi molto più difficile».
La società italiana ha subito una metamorfosi nel rapporto con il fenomeno migratorio, una migramorfosi, appunto, come l’ha definita Pastore, che tuttavia è rimasta «a metà del guado» a causa dell’assenza di «scelte nette» e mancata volontà di «aprirsi al cambiamento», sebbene tuttavia «non abbiamo neppure saputo, né voluto, chiuderci del tutto». Ma proprio rifacendosi al motto di Einaudi “conoscere per deliberare”, è fondamentale capire le migrazioni per essere in grado di gestirle in maniera ottimale. In questo senso, Allievi sostiene un punto fondamentale: «Non si capiscono le migrazioni se non le intrecciamo ad altre forme di mobilità […] (e) nemmeno se non le colleghiamo ad altri fenomeni, a cominciare dalla demografia, per continuare con le trasformazioni del mercato del lavoro, il livello di istruzione degli individui e di un paese, l’ambiente e altro ancora [….] le migrazioni sono un pezzo di trasformazioni più ampie».
Demografia, economia e lavoro sono quindi i cardini attorno ai quali si dipana il dibattito e non c’è analisi che tenga contro l’assunto fondamentale sostenuto da entrambi gli autori: l’Italia ha un disperato bisogno di immigrati – anche a fronte di un imbarazzante tasso di emigrazione dei nostri “cervelli”, loro sì liberi di varcare i confini e le frontiere quando invece bisognerebbe fare di tutto per trattenerli nel nostro territorio e non costringerli a partire per esprimere i proprio talenti («nel solo 2019 alcune stime valutano gli immigrati in 280mila, mentre gli sbarcati erano stati 11mila» , arguisce Allievi). L’Italia sta vivendo una recessione demografica senza precedenti e il rapporto tra popolazione attiva e non da 3 a 2 del 2019 è prevista arrivare a 1 a 1 nel 2045. Praticamente domani. «È costantemente negativo il saldo nati/morti, ma occasionalmente è stato negativo anche il saldo immigrati/emigrati. Questo spiega perché abbiamo bisogno di immigrazione. Bisogna fare tutto il possibile per favorire la natalità”, attraverso politiche mirate all’implementazione dei servizi sociali di cura, la strutturazione del mercato del lavoro, incentivi al lavoro femminile. “Ma anche se tutto questo si facesse oggi, non sarebbe sufficiente comunque” perché “sul mercato del lavoro avrebbe effetto tra 20 anni o più».
Ma non solo. I lavori precari, temporanei intermittenti sono quelli dove si concentrano di più gli immigrati, finendo per ingrossare le fila di un «vasto esercito di riserva di lavoratori contrattualmente deboli (perché privi di voce e con pochi diritti)» poiché, secondo Pastore, «non avendo alternative, gli immigrati fanno lavori che i giovani italiani possono permettersi di non fare (a quelle condizioni)». I lavori svolti dagli immigrati, aggiunge Allievi, sono a bassa qualifica e «a fronte di questa presenza una percentuale analoga dei giovani italiani che entrano nel mercato del lavoro è invece almeno diplomata […] La sovrapposizione e la possibile concorrenza, si limita a una percentuale modesta, soprattutto per la parte meno qualificata della manodopera: e va combattuta, ma è dovuta più che all’esistenza dell’immigrazione, alla sua irregolarità e alla mancanza di controlli. Tutto questo significa che abbiamo bisogno della manodopera immigrata (altrimenti molti lavori resterebbero scoperti) e al contempo non produciamo abbastanza posti di lavoro qualificati per gli autoctoni con elevato livello di istruzione». Tutto questo a fronte di una giovane popolazione immigrata disposta a lavorare pari al 40% e in Italia il tasso di occupazione degli stranieri che è più alto di quello degli italiani.
In Italia gli immigrati regolari sono l’8,5% della popolazione italiana, 6milioni di persone (in gran parte lavoratori). Ed è questo il punto chiave su cui insistono entrambi gli autori: la necessaria opera di gestione e controllo dei flussi, che non va certo negata, ma soprattutto la regolarizzazione dei migranti presenti sul territorio. «Controllare i confini – sostiene Allievi – è una delle funzioni fondamentali dello Stato […] Ma controllarli non è la stessa cosa che impedire l’accesso: è semmai regolamentarlo, bilanciando l’interesse degli individui in movimento con quello delle comunità stanziali». L’attenzione si concentra sempre sugli arrivi, ma quel che conta, quindi, sono le partenze. Gestire i flussi e combattere le irregolarità è possibile e necessario per prevenire stragi per mare e per terra, per impedire di accedere in territori in cui non si godrebbe di alcun diritto, alcuna protezione, e per questo impossibilitati a entrare nel circuito della legalità senza diritti e impossibilitata per questo a rimanere nel circuito della legalità: «Aprire i flussi di emigrazione regolare […] consentirebbe di poter contare sulla collaborazione dei paesi di partenza nel controllare i flussi irregolari e nell’accettare i rimpatri degli irregolari o di coloro che commettono reati», sostiene Allievi. E questo è possibile anche attraverso il processo di esternalizzazione, «la delega sistematica dell’azione di prevenzione, controllo e repressione dei movimenti migratori indesiderati a stati terzi», spiega Pastore. Sono fondamentali quindi «accordi complessivi di cooperazione allo sviluppo: ciò piò avvenire solo usando accortamente gli strumenti della diplomazia e della politica estera, aprendo scenari di maggiore cooperazione intergovernativa, capaci di implementare la fiducia tra governi e paesi, basati sul riconoscimento di pari dignità tra partner», aggiunge Allievi.
Di particolare interesse anche la disamina su sicurezza e devianza, che si sofferma sull’errore interpretativo che associa la delinquenza agli immigrati secondo la “logica del capro espiatorio” che tanto piace alla politica. Ma secondo le statistiche riportate da entrambi gli autori, innanzitutto «gli immigrati sono più giovani dei nativi e in generale i giovani hanno tassi di devianza più alti della media (Pastore)»; inoltre «gli stranieri stanno in carcere in percentuale superiore agli italiani perché ad essi si applicano molto meno che agli italiani le forme alternative di pena, ma la percentuale di recidiva tra gli stranieri è più bassa e le carriere devianti appaiono meno evidenti (Allievi)». Ma quanto è più importante è che «il tasso di detenzione degli stranieri regolari non è complessivamente molto superiore a quello degli italiani, circa una volta e mezza, mentre è molto più elevato quello degli irregolari», precisa Allievi, cui aggiunge Pastore: «Gran parte degli illeciti penali commessi da stranieri non sono in realtà reati gravi contro altri esseri umani, ma semplici violazioni delle stesse norme in materia di immigrazione». E anche se la percezione pubblica è fortemente negativa, il risultato fondamentale è che «la variabile più rilevante non è l’essere stranieri, ma l’essere irregolari. E dunque il modo migliore di garantirsi maggiore sicurezza è precisamente quello di accelerare e favorire i processi di integrazione. Di fatto è una equazione: più integrazione uguale più sicurezza», chiosa ancora Allievi.
Entrambi i lavori si soffermano poi sulla necessità di favorire i processi di integrazioni, delle prime generazioni di immigrati come delle seconde, insistendo in particolare sul ruolo della scuola e delle opere di mediazione culturale, anche e (forse) soprattutto nei confronti degli autoctoni, protagonisti di questo fenomeno tanto quanto i migranti. Due parti a cui va riconosciuto lo stesso interesse (come in un matrimonio) perché entrambe coinvolte in questo difficile meccanismo a carattere esclusivamente collettivo. Cooperare, collaborare, aprirsi al cambiamento; non necessariamente accettandolo, ma sicuramente capendolo e assimilarlo. «L’obiettivo – spiega Allievi – dovrebbe essere quello di normalizzare le migrazioni: tutte. Fisiologizzarle. Farle uscire dalla cornice interpretativa della perenne emergenza […] ma per governare un fenomeno bisogna prima capirlo». Le migrazioni non sono solo un problema, ma sono anche la soluzione al problema.
Migramorfosi. Apertura o declino e Governare le migrazioni. Si deve, si può sono due ragionamenti indispensabili per chiunque voglia aprirsi alla comprensione di cosa sia realmente del migrazioni e liberarsi dal gioco delle narrazioni altrui. Attraverso queste letture si diventa protagonisti dello scenario contemporaneo, potendo finalmente agire sul pensiero circa un fenomeno dalle proporzioni vastissime e pervasive, che ci tocca da vicino già a partire dalla nostra quotidianità. Liberarsi non dell’altro, dello straniero, ma del pregiudizio sullo straniero che è stato sostanzialmente indotto nell’auditorio nazionale da media e politici, che amaramente spesso coincidono in un calo verticale dell’informazione come quello cui stiamo assistendo. La conoscenza del fenomeno migratorio attraverso queste due letture è come un viaggio su una biga trainata da due cavalli, che corre più veloce e ci porta più lontano, permettendoci di attraversare la frontiera del nostro recinto ideologico e aprire lo sguardo sulla vastità del ragionamento e del pensiero.
Elettra Raffaela Melucci
Titolo: Migramorfosi. Apertura o declino
Autore: Ferruccio Pastore
Editore: Einaudi Editore
Anno di pubblicazione: 2023
Pagine: 153 pp.
ISBN: 978-88-06-26036-1
Prezzo: 12,00€
Titolo: Governare le migrazioni. Si deve, si può
Autore: Stefano Allievi
Editore: Editori Laterza
Anno di pubblicazione: 2023
Pagine: 123 pp.
ISBN: 978-88-581-5285-0
Prezzo: 14,00€