Emilio Miceli è arrivato da poche settimane alla guida della Filctem, il grande sindacato della Cgil dei chimici, i tessili e i lavoratori del settore dell’energia. Forse non poteva trovare un momento più difficile. Ma ha voglia di andare al di là delle divisioni. Pensa che l’accordo sulla produttività non abbia risolto i problemi, crede invece che sia il momento di puntare a un nuovo grande accordo che ridisegni tutto il sistema della contrattazione, ma dalle radici.
Miceli, con che spirito arriva alla guida di questo importante sindacato?
Con entusiasmo e ottimismo. Ogni nuova esperienza è sempre portatrice di questo mix di sensazioni e aspettative. Si ritiene di poter intervenire per migliorare le cose.
La situazione però è molto pesante.
Sì, davvero molto. Corriamo il rischio di uscire dalla crisi con minori possibilità. Perché non guardiamo al futuro con l’atteggiamento giusto. Le imprese, per esempio, continuano a guardare ai loro margini operativi, ai ricavi, non investono, ma così facendo non sfruttano le opportunità che la crisi sempre offre.
E la politica?
Monti è l’ultimo dei liberisti, ancora convinto che negli spiriti animali del mercato possano risolvere i proble3mi. Ma ormai lo pensa solo lui.
Le relazioni industriali possono aiutare la ripresa?
I lavoratori possono aiutare le imprese. Peccato che le imprese pensano che al massimo le relazioni industriali possano mantenere quello che c’è, non contribuire a fare meglio.
Peserà il fallimento del negoziato sulla produttività?
Non so. Con questa ultima riforma il salario è tornato nelle disponibilità delle parti, ma si è perso il connotato essenziale della contrattazione, la difesa del potere di acquisto. Il giudizio è molto negativo. Questo non è un patto sociale, non esalta la funzione confederale, non parla di investimenti, delle difficoltà sociali. Non capisco quale è stato l’obiettivo che si è voluto cogliere. Non c’è nemmeno lo scambio, pure così caro alla Cisl. Non c’è da meravigliarsi se è stato accolto con grande indifferenza.
Su questo mancato accordo si è sviluppato anche un dibattito dentro la Cgil.
E’ un bene che la Cgil si interroghi su questi temi. Io non ero né entusiasta, né avversario di questo accordo, pensavo soprattutto che si poteva esprimere una presa d’atto. Ma il punto è un altro, è che il sistema contrattuale ormai è del tutto saltato. Perché è cambiato lo scenario internazionale, perché è cambiata la collocazione delle nostre imprese, perché la crisi, alle nostre spalle e davanti a noi, ridimensiona le attese, perché abbiamo bisogno di un nuovo modo di guardare alle imprese, alle loro necessità. Imprese e lavoratori sono sotto una pressione fortissima. Dobbiamo cominciare a pensare come cambiare la contrattazione.
Più di quanto abbia o non abbia fatto questo accordo?
Ma adesso si è parlato solo di come sistemare i minimi salariali, come spostarli al secondo livello per avere qualche beneficio di legge. Serve altro, serve un nuovo contratto che sappia legare le imprese e i lavoratori attraverso la mediazione del sindacato.
Può essere la partecipazione la chiave di questo nuovo assetto?
Penso di sì, ma la partecipazione resta sempre uno strumento. Dobbiamo guardare ai grandi temi, le finalità del nuovo contratto, la platea per la quale contratti.
Un ripensamento generale. Le imprese sono interessate?
Non generalizzerei, c’è impresa e impresa, non è tutto bianco o tutto nero, né tutto grigio. Ci sono situazioni di eccellenza. E c’è da tener presente che un buon sistema di relazioni industriali abbassa il tasso di conflittualità. Io non credo che si viva di solo conflitto, che non deve appartenere alla nostra cultura, non deve essere mai teorizzato. In questi anni siamo stati capaci di costruire un modello di relazioni sindacali più sobrio. E’ la politica che non è stata capace di fare le necessarie sintesi.
Nei prossimi mesi cosa accade?
Dobbiamo rinnovare i contratti. E noi responsabilmente ci proveremo, non diserteremo nessun tavolo, sarebbe contro la nostra cultura. Speriamo di farli presto e bene.
Intanto è possibile un patto per la rappresentanza?
L’ulteriore slittamento a dicembre di questo patto è la prova che sulla rappresentanza c’è un patto per escludere la Cgil, per governare il sistema delle relazioni industriali sulla base delle affinità politiche. Se non si libera il campo dal tema della rappresentanza tutto resta molto difficile. Si vuole bloccare il processo autonomo decisionale dei lavoratori, che sarebbe un elemento di superamento del vecchio assetto di relazioni industriali.
Recupererete il rapporto con Cisl e Uil?
Non credo ci sia alternativa. Soprattutto per chi pensa che il tema della rappresentanza sia centrale. Del resto, è dimostrato che escludere la Cgil non rende più forti Cisl e Uil. Con questo accordo, più che azzerare i minimi salariali e costruire le condizioni per demansionare i lavoratori non si è fatto. Ogni accordo separato è una sconfitta per tutti.
Anche nella categoria punterete all’unità?
Auspico una ripresa unitaria della contrattazione. Resta il fatto che il gruppo dirigente della Filctem pensa che il contratto dei chimici sia stato fatto male e troppo di corsa e su questo chiediamo rispetto. Abbiamo avuto al riguardo un atteggiamento di responsabilità per non mettere grandi distanze dentro il sindacato e per mantenere rapporti con Federchimica. Ma le relazioni sindacali non possono stare tutte solo sulle nostre spalle. Tutti devono metterci idee e disponibilità.
Massimo Mascini