“Non c’è più tempo per aspettare. Il lavoro torni al centro delle scelte politiche ed economiche dell’Italia, dell’Europa. Investimenti pubblici e privati, ripresa dei consumi, redistribuzione del reddito devono divenire la stella polare della nostra economia”: è il grido di allarme che lancia Emilio Miceli, segretario generale della Filctem-Cgil, proprio alla vigilia della grande manifestazione Cgil, Cisl, Uil di sabato 22 giugno a Roma che vedrà scendere in piazza numerosi lavoratori chimici, tessili, dell’energia e delle manifatture provenienti da tutta Italia.
I dati allarmanti della disoccupazione, della cassa integrazione, della “mortalità” delle imprese sono sotto gli occhi di tutti: “dal 2008 ad oggi – ha ricordato il leader dei chimici della Cgil – tra licenziamenti, mobilità, cassa integrazione, processi di ristrutturazione la crisi ha coinvolto più di 180.000 lavoratori. E, purtroppo, non è finita”.
Gli annunci di grandi gruppi che si ritirano dal contesto italiano ed europeo sono davvero pesanti: molti di loro considerano esaurita l’esperienza industriale nel paese, senza che le istituzioni – italiane ed europee – muovano un dito, siano in grado di una vera discussione su ciò che sta avvenendo.
“Se poi – aggiunge Miceli – ci limitiamo al nostro ambito, le stesse grandi nostre aziende – l’Enel, le altre società elettriche, l’Eni – agiscono tutte in condizioni di grande difficoltà nel mercato italiano. Dal nostro osservatorio, ovunque, dalla grande alla piccola impresa, siamo in una condizione di assoluta disperazione”.
Ma il tratto vero – spiega il segretario – è dato da vertenze “simbolo” come quella di “Vinyls” per la quale regna la più assoluta incertezza, da quattro anni in commissariamento che avrebbe dovuto far ripartire gli impianti, e invece da mesi gli operai non percepiscono lo stipendio; dalla “LyondellBasell”, che intende tagliare il Centro di ricerca di Ferrara, tra l’altro, ispirato da Giulio Natta, il premio Nobel per la chimica. Parliamo di un’azienda importante, che fa utili, e che su quel centro ha fondato tante delle sue fortune. Dall’altro versante, c’è il caso “Bridgestone”, uno dei leader mondiali dei pneumatici, che annuncia, nell’ambito del suo processo di riorganizzazione, di chiudere lo stabilimento di Bari e delocalizzare altrove. Sono questi due ultimi gruppi – prosegue il segretario – che non solo non sono in crisi, ma hanno una collocazione di assoluto rilievo nei mercati internazionali. Insomma, esempi che servono per mettere a fuoco anche la qualità della crisi, nonchè la necessaria attenzione che tutti devono saper dare a quella che sta diventando un’autentica emergenza”.
Sono in corso processi d’impoverimento generalizzati ovunque, denuncia la Filctem nel suo dossier su “Allarme lavoro”. La crisi coinvolge da Porto Marghera a Gela, da Terni alla Sardegna, da Frosinone a Siracusa, e indica che siamo di fronte a uno smottamento che va ben oltre le caratteristiche della crisi d’impresa, perché fuoriesce dalla fabbrica e finisce con l’investire l’insieme del territorio. “Nel caso di Porto Marghera – avverte Miceli – non c’è solo il problema del recupero dell’area, ma è in gioco la sopravvivenza di quello che è il cuore della chimica italiana, da dove si determina l’impulso per tutto il settore. Lo stesso ragionamento riguarda gli altri insediamenti industriali, che coincidono con la vita di intere zone del paese. Rischiamo di assistere alla scomparsa pressocché in blocco di filiere produttive, al successo o insuccesso di aree industriali”. “ E quando parliamo di questione industriale – dice il leader sindacale – non parliamo solo di politiche di settore, ma dell’Italia: se nei prossimi anni sarà o meno un paese industriale e se vivrà ancora della sua produzione industriale”.
La crisi è anche un fenomeno che provoca riorganizzazioni e “l’Italia – conclude – è fuori dalla traiettoria della competizione globale. E’ questo il grande tema del declino”.