Oggi azienda e sindacati si sono incontrati alla presenza del viceministro per lo Sviluppo economico con delega alle telecomunicazioni, Paolo Romani, per discutere del piano esuberi presentato dall’azienda stessa.
Il diario del lavoro ha chiesto a Emilio Miceli, segretario generale della Slc Cgil, le sue valutazioni sull’incontro.
E’ stato utile per ricordare i punti di sofferenza industriale. L’azienda ha pianificato di diventare più piccola e la nostra preoccupazione è che gli esuberi siano la diretta conseguenza di questa decisione già presa.
Cosa glielo fa pensare?
L’azienda anziché puntare alla crescita incrementando le quote di mercato, migliorando la competizione anche sul mobile, puntando ad allargare i propri confini anche in ambito internazionale, punti di vera difficoltà in questi anni, rimane un’impresa un po’ domestica e sempre più decurtata sul piano della ricerca e dell’informatica, strumenti base di crescita di un grande asset.
E’ il prezzo da pagare per contrastare la crisi?
La crisi influisce e le attese si ridimensionano. Ma è un problema di tutto il sistema italiano delle telecomunicazioni che non riesce a superare due gap: aumentare il numero di persone che godono della banda larga sia su rete fissa che su rete mobile, servizi che l’attuale frequenza non permette di dare agli utenti. Affrontare questo problema significa guardare alla crescita, e non ai propri margini, come invece fa Telecom.
Oggi avete prospettato all’azienda tutte queste vostre obiezioni?
Sì, ma abbiamo ottenuto le stesse risposte.
Cioè?
Che l’azienda sta bene, la rete progredisce, che gli investimenti ci sono e sono cospicui.
E invece?
La rete di rame è malandata, piena di buchi, tenuta male, ha bisogno di investimenti.
Soluzioni alternative agli esuberi?
In realtà in Telecom non c’è personale in esubero, dal momento che l’azienda non riesce a soddisfare le esigenze ordinarie. La qualità del servizio customer di assistenza ai clienti è tra le migliori, è l’accesso ai servizi ad essere complicato a causa di call center sempre occupati.
Poi il costo del lavoro in Telecom è di gran lunga inferiore rispetto ai ricavi, circa il 12%.
Allora perché licenziare?
Per pagare il pesante debito di 34 miliardi di euro. Però se si vive solo con l’ossessione del debito, allora l’azienda diventa marginale. L’impresa serve se resta sul mercato e Telecom è un’impresa di grandi risorse. Poi c’è anche la questione di 1,5 miliardi dati agli azionisti che dimostra come non ci sia attenzione alla politica di bilancio. Anche sul piano degli investimenti il trend è cambiato nel corso degli ultimi 5 anni, si è dimezzato da 15 a 7 miliardi di adesso.
Qual è la posizione del governo?
Speriamo di averla prima o poi. Mi auguro dica la sua almeno sulle questioni di sua competenza come investimenti sulla banda larga e sulla frequenza dei cellulari.
Siete uniti sul fronte sindacale?
Il pluralismo sindacale esiste e abbiamo punti di vista differenti, ma la vera sfida è evitare che il pluralismo diventi antagonismo. In questo senso la Cgil ha la vocazione a tenere insieme uomini e sindacato. Non ci rassegniamo al dibattito e alla dialettica.
Vi rivedrete giovedì, c’è la possibilità di un accordo?
Compito arduo, sono realista. Dieci giorni per risolvere un problema che ci portiamo dietro da un anno e mezzo, mi sembrano un po’ pochini e non solo per la prossimità delle ferie estive, ma anche per le tante variabili da discutere dal piano industriale al conflitto sul tema degli esuberi.
Tutto dipenderà dalla qualità della proposta che farà il governo.
Francesca Romana Nesci