Tanto tuonò che piovve. Nel senso che ieri, al termine di un incontro durato due ore e mezza, i sindacati dei metalmeccanici hanno dichiarato che si era “determinata una rottura” nella trattativa per il Contratto nazionale della categoria. Per restare nella metafora meteorologica, si può dire che questa rottura non sia stata vissuta da nessuno degli osservatori delle vicende sindacali come un fulmine a ciel sereno. Diversi segni avevano infatti lasciato presagire a questi osservatori che il cielo sempre più scuro sopra la trattativa avrebbe potuto trasformarsi in tempesta.
Il primo di questi segni è che alla vigilia del settimo incontro, quello che si sarebbe poi svolto il 10 ottobre, con una mossa irrituale Federmeccanica e Assistal – ovvero le associazioni imprenditoriali del settore metalmeccanico e di quello della installazione di impianti, aderenti entrambe a Confindustria – hanno convocato una conferenza stampa per il dopo trattativa. Mossa irrituale perché, così facendo, le due associazioni mostravano la loro volontà di comunicare qualcosa ai mezzi di informazione indipendentemente dall’andamento dell’incontro in questione. Dopodiché, prima nell’incontro mattutino e poi nella conferenza stampa pomeridiana, le due associazioni hanno illustrato i contenuti di una loro ampia proposta relativa ai temi del negoziato contrattuale. Una proposta così ampia e così dettagliata da far dire ai dirigenti di Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm-Uil, i tre maggiori sindacati della categoria, che questo documento non era solo una “proposta”, come era stato appunto definito dalle associazioni imprenditoriali, ma una vera e propria “contropiattaforma”.
In pratica, dopo un incontro di apertura, svoltosi il 30 maggio di quest’anno in Confindustria, dopo quattro incontri di approfondimento tematico, svoltisi fra giugno e luglio ancora in Confindustria, dopo un incontro di riapertura post-feriale della trattativa, svoltosi il 19 settembre presso la Facoltà di Economia dell’Università di Roma Tre, giunte al settimo incontro, ospitato dall’Auditorium del Massimo, le parti si sono trovate a vivere una sorta di nuovo inizio. Solo che, mentre Federmeccanica e Assistal si mostravano fiere del contributo da loro offerto con la loro ampia e dettagliata “proposta”, i sindacati cominciavano a pensare che nel negoziato ci fosse qualcosa che non andava nel verso giusto. E ciò perché, a loro avviso, le controparti imprenditoriali non avevano ancora iniziato a trattare veramente sugli 11 punti della piattaforma sindacale.
Fatto sta, ed eccoci al secondo segno negativo, che il settimo incontro si è concluso senza che venisse comunicata nessuna data relativa a qualche successivo appuntamento.
Ieri, 12 novembre, dopo quasi un mese di reciproci silenzi, si doveva finalmente approdare all’ottava tappa di questa trattativa itinerante tra varie location della zona Eur e dintorni. Ma anche poco prima di questo nuovo incontro, che si è poi svolto in un centro congressi non lontano dal Palazzo dello Sport, si è prodotto un fatto singolare. Infatti, ed eccoci al terzo segno negativo, nella serata di lunedì 11 novembre i sindacati dei metalmeccanici hanno diffuso un comunicato in cui definivano come “importante” l’incontro programmato per il giorno dopo. Insomma, quasi un grido di allarme. Allarme confermato dal fatto che gli stessi sindacati rilanciavano verso Federmeccanica e Assistal l’accusa di aver “presentato – nel precedente incontro – una contropiattaforma rispetto alla piattaforma sindacale” risalente allo scorso mese di maggio. Aggiungendo che, ormai, “in assenza di risposte concrete (…) alle richieste di Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm-Uil, si rischia la rottura delle trattative”.
Ed eccola, dunque, la rottura. Annunciata nel primo pomeriggio di ieri da un comunicato sindacale unitario che non lancia proclami, ma si limita quasi a prendere atto del fatto che “dopo otto incontri di confronto per il rinnovo del Contratto nazionale dei metalmeccanici, si è determinata una rottura al tavolo” delle trattative. E ciò “dopo che Federmeccanica e Assistal hanno di fatto riproposto le proprie posizioni contenute nella ‘contropiattaforma’ presentata nel precedente incontro del 10 ottobre”.
“Fim, Fiom, Uilm – prosegue il comunicato – hanno pertanto deciso di proclamare lo stato di agitazione attraverso il blocco delle flessibilità e lo sciopero dello straordinario. Inoltre, sono proclamate 8 ore di sciopero articolate con modalità da definire unitariamente a livello territoriale, da effettuarsi a partire dalla prossima settimana.”
A questo punto è lecito chiedersi: al di là della schermaglia verbale fra “proposta”, parola prescelta da Federmeccanica e Assistal, e “contropiattaforma”, espressione su cui insistono Fim, Fiom e Uilm, quali sono le vere cause di questa rottura? Stringendo la cosa all’osso, il cronista sarebbe tentato di dire che si è delineata una netta distanza fra le richieste sindacali e le controfferte datoriali in materia di aumenti salariali (o, per dir meglio, di aumenti del salario nominale). Infatti, come si ricorderà, la richiesta contenuta nella piattaforma sindacale è pari a una crescita di 280 euro al livello medio dell’inquadramento professionale (il cosiddetto livello C3). Invece, dal comunicato diffuso ieri da Federmeccanica dopo la fine dell’incontro, si può leggere che, sulla base delle previsioni Istat attualmente disponibili, “l’adeguamento dei minimi tabellari” in base all’Ipca Nei (Indice dei prezzi al consumo armonizzato al netto del costo dei beni energetici importati) “sarebbe pari a 173,37 euro lordi”, sempre “per il livello C3”.
Ma non è tutto qui. A dividere le parti, al momento, non c’è solo una differenza di poco più di 100 euro lordi medi a fine della prossima vigenza contrattuale. Innanzitutto, va sottolineato che la richiesta sindacale è relativa al triennio che va dal 1° luglio 2024 al 30 giugno 2027, mentre la previsione datoriale è relativa al quadriennio che va dal 1° gennaio 2025 al 31 dicembre 2028. E ciò tenendo conto dello schema, ricordato nel comunicato diffuso ieri da Federmeccanica dopo la fine dell’incontro, in base a cui, qualora “a seguito della verifica fatta a giugno di ogni anno, sulla base del consuntivo comunicato dall’Istat, l’importo relativo all’adeguamento Ipca Nei risultasse superiore e/o inferiore agli importi degli incrementi retributivi previsti, questi saranno adeguati all’importo risultante”.
In materia salariale, insomma, non ci sono solo differenze fra gli aumenti retributivi richiesti dai sindacati e quelli previsti dalle associazioni imprenditoriali, ma anche differenze relative alle ipotizzate vigenze contrattuali, nonché alla logica in base a cui determinare i futuri aumenti.
Ma a dividere le parti c’è anche qualcosa di più. Paradossalmente, si può forse ipotizzare che lo scontro attuale nasca dall’ambizione, comune alle due parti, di fare un Contratto nazionale particolarmente significativo. Da un lato, Federmeccanica e Assistal, perseguendo, a partire dalla trattativa del 2015-2016, l’obiettivo del cosiddetto “rinnovamento del Contratto”, avevano puntato a creare tra le parti, nell’ambito della maggiore categoria dell’industria, un nuovo clima sempre meno conflittuale e sempre più cooperativo. Dall’altro lato, Fim, Fiom e Uilm, forti dei risultati conseguiti con gli accordi contrattuali del 2016 e del 2021, hanno messo a punto, tra fine 2023 e inizi del 2024, una piattaforma ambiziosa che si mostrasse capace di affrontare, da un punto di vista sindacale, le conseguenze delle transizioni ambientali e tecnologiche attualmente in corso. Paradosso nel paradosso, come avevamo già segnalato ripetutamente sul Diario del lavoro, fin dall’inizio di questa trattativa si era profilata l’ipotesi che, dopo un periodo breve ma incisivo di vivace inflazione, la questione salariale tornasse in primo piano quasi più per una dinamica oggettiva, che non per scelte strategiche effettuate dalle parti. E ciò perché, come è noto, l’inflazione, da un lato, colpisce i lavoratori dipendenti, facendoli impoverire, mentre, dall’altro, allarma le imprese, rendendo più complicata la loro vita.
Federmeccanica e Assistal si dichiarano quindi interessate a un rinnovo contrattuale significativo sotto un profilo qualitativo, ma chiedono di rallentare l’attuale dinamica della crescita del salario nominale derivante dall’applicazione dell’indice Ipca Nei. Fim, Fiom e Uilm, invece, sono intenzionate a far sì che il Contratto nazionale dia a lavoratrici e lavoratori qualche certezza che vada oltre il recupero periodico del potere d’acquisto delle loro retribuzioni. E ciò sia sul piano salariale che su quello normativo.
Sia come sia, quel che pare sicuro è che adesso, nella categoria dei metalmeccanici, il conflitto sindacale non solo tornerà a farsi vivo, ma imboccherà con decisione la strada che lo porterà dentro le fabbriche. Infatti, nelle loro dichiarazioni, i Segretari generali dei tre sindacati, e cioè Michele De Palma (Fiom-Cgil), Rocco Palombella (Uilm-Uil) e Ferdinando Uliano (Fim-Cisl), hanno tutti sottolineato la comune volontà di far precedere i prossimi scioperi articolati da una campagna di assemblee unitarie che tocchi il massimo numero possibile di luoghi di lavoro. E ciò, appunto, per coinvolgere il massimo numero possibile di lavoratrici e lavoratori nelle iniziative di lotta cui il sindacato intende chiamarli.
La cosiddetta “moratoria contrattuale”, ovvero la fase in cui, dopo la presentazione della piattaforma, i sindacati non possono effettuare iniziative di lotta, scade a metà del corrente mese di novembre. Dopo inizieranno le assemblee e poi si avranno i primi scioperi articolati. Par di capire, insomma, che i sindacati abbiano deciso di puntare non tanto sulla visibilità mediatica di comizi e cortei, quanto sulla capacità dei delegati e delle strutture locali di costruire iniziative capaci di far sentire capillarmente alle singole imprese quale sia la volontà effettiva di lavoratrici e lavoratori.
Fernando Liuzzi