A fine giugno, l’importo segnato sulle buste paga dei metalmeccanici crescerà, al livello medio (l’ex quinto livello), di 130 euro lordi. Per essere precisi, di 137,52 euro lordi. Ne hanno dato notizia a metà mattinata, con un loro comunicato congiunto, i tre maggiori sindacati della categoria: Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm-Uil.
Diciamo subito, per evitare equivoci, che questo aumento annunciato non ha nulla a che fare con la trattativa, avviatasi il 30 maggio scorso, per il nuovo contratto, quello che sarà relativo al prossimo triennio. L’aumento di cui parliamo può anzi essere considerato come l’ultimo effetto del contratto ancora vigente, quello firmato il 5 febbraio del 2021.
Vediamo dunque come si è formata, e che cosa significa, la notizia di cui stiamo parlando. All’inizio della mattinata, l’Istat ha emesso puntualmente una sua nota che era, peraltro, attesa con grande interesse sia dai sindacati che dalle imprese del settore più rilevante della nostra industria manifatturiera. Nota che recita così: “L’Istat comunica, per gli anni 2020-2023, gli scostamenti tra realizzazione e previsione dell’inflazione misurata dall’indice IPCA al netto della dinamica dei prezzi dei beni energetici importati, nonché la previsione dell’indicatore per gli anni 2024-2027. Il consuntivo 2023 risulta pari a 6,9%, un decimo di punto inferiore rispetto alla stima indicata lo scorso dicembre (7%)”.
La prosa del nostro Istituto nazionale di statistica, ammettiamolo, non è letterariamente avvincente. In compenso, è chiarissima. Qual è dunque la morale della favola? Questa: che nel corso del 2023 l’Ipca, e cioè l’Indice dei prezzi al consumo, ovvero l’indicatore che misura l’aumento del costo della vita, ha marcato una crescita del 6,9%.
E che cosa c’entra tutto questo, ci si potrebbe chiedere, con il contratto dei metalmeccanici? Risposta: c’entra perché il contratto attualmente vigente, quello già citato del 2021, ha previsto quella che, nel gergo sindacale, viene definita “clausola di salvaguardia”. In pratica, si tratta di un meccanismo capace di recepire in busta paga eventuali scostamenti fra gli aumenti retributivi pattuiti per i vari anni di vigenza contrattuale in relazione all’inflazione attesa, e l’inflazione poi effettivamente registrata dall’Istat per un dato anno in base al citato indice Ipca-nei.
Detto fatto. Poco dopo la citata nota dell’Istat, i sindacati dei metalmeccanici sono stati in grado di emettere il loro comunicato unitario. Comunicato in cui si può leggere che oggi “l’Istat ha ufficializzato il valore percentuale dell’indice Ipca-nei (Ipca al netto degli energetici importati) consuntivato per il 2023. L’Ipca-nei ufficializzata è pari al 6,9%”.
“L’importo dell’adeguamento Ipca – prosegue il comunicato – risulta superiore agli incrementi retributivi complessivi inizialmente previsti per giugno 2024; pertanto, in base a quanto previsto dal CCNL del 5 febbraio 2021, sottoscritto da Fim-Cisl, Fiom-Cgil, Uilm-Uil e Federmeccanica-Assistal, si procederà con un aumento dei minimi tabellari del 6,9%.”
Ne segue che “l’adeguamento dei minimi tabellari previsto con l’erogazione di questa tranche con decorrenza 1° giugno 2024 sarà pari a 137,52 euro per il livello C3 (ex 5° livello)”.
E adesso? Al momento in cui scriviamo, non si sono ancora avute reazioni della parte imprenditoriale alla nota dell’Istat. Ma il comunicato di Fim, Fiom e Uilm già ci informa che “nei prossimi giorni” dovrebbe svolgersi un incontro degli stessi sindacati con Federmeccanica e Assistal; incontro “in cui saranno sottoscritte le tabelle dei minimi retributivi e le nuove indennità di trasferta e reperibilità con il valore aggiornato”.
Inoltre, i sindacati affermano che, sulla base della percentuale comunicata dall’Istat, “saranno definite le rivalutazioni dei minimi e dei valori di trasferta e reperibilità per i contratti della piccola e media impresa, per le cooperative metalmeccaniche e per l’industria orafa-argentiera”.
Fin qui, quelle che potremmo definire come le conseguenze “tecniche”, sul mondo dell’industria metalmeccanica, dei calcoli comunicati oggi dall’Istat.
Per quanto riguarda invece le conseguenze degli aumenti citati sulle attuali relazioni fra sindacati dei lavoratori e associazioni imprenditoriali, bisognerà probabilmente aspettare la giornata di martedì 18 giugno. Per quella data, infatti, è segnato il primo dei quattro incontri già fissati lungo cui si articolerà la fase iniziale del negoziato relativo al prossimo contratto nazionale della categoria.
Come si ricorderà, a giugno 2023 l’Istat fissò al 6,6% la crescita del costo della vita verificatasi nel 2022 e misurata, anche allora, in base all’indice Ipca-nei. Tale crescita determinò un aumento di 123,4 euro lordi della retribuzione mensile al citato livello C3 dell’attuale scala di inquadramento professionale prevista dal Contratto.
La misura di tale aumento medio fu apprezzata dai sindacati, mentre la parte imprenditoriale manifestò la sua preoccupazione per l’entità di una crescita dei costi superiore al previsto, specie considerando che tale crescita si verificava in una fase segnata da vari fattori di difficoltà per le imprese.
Fernando Liuzzi