Nel percorso che sta portando la Cgil verso il suo 19° Congresso, quella vissuta ieri da metalmeccanici e chimici costituisce sicuramente una tappa importante. Stiamo parlando dell’incontro che si è svolto a Roma e cui hanno partecipato circa 300 fra dirigenti locali e delegati delle due maggiori categorie Cgil dell’industria manifatturiera. Un’assemblea che, tra l’altro, ha costituito la prima iniziativa pubblica assunta dalle due organizzazioni subito dopo i loro recentissimi Congressi nazionali.
Il titolo dell’incontro, che campeggiava su uno schermo digitale posto sul fondo della sala congressi di un albergo romano, era: “Il lavoro industriale al centro del futuro del Paese”. Ma la vera notizia, più che nel titolo, stava forse nel sottotitolo: “Assemblea nazionale unitaria Fiom e Filctem”. Infatti, chi conosce il mondo sindacale sa che, tradizionalmente, metalmeccanici e chimici sono due categorie di lavoratori che, reciprocamente, si guardano un po’ dall’alto in basso. Gli uni si sentono più battaglieri, gli altri più sagaci. Ma fatto sta che, sia gli uni che gli altri, trovano motivi di orgoglio nella propria storia sindacale e sono pronti a sottolineare l’efficacia delle battaglie condotte, come dei risultati conseguiti, dalla propria categoria.
Ora, nello schema del sindacalismo “confederale”, che caratterizza il modello sindacale italiano, è del tutto ovvio che due organizzazioni di categoria si ritrovino insieme nell’ambito di una confederazione; ovvero, nel caso di cui stiamo parlando, nell’ambito della Cgil. Ove metalmeccanici e chimici sono di casa come i lavoratori dell’agroindustria, delle costruzioni, del commercio e degli altri servizi privati, nonché come i pubblici dipendenti. Ma, in questo caso, la novità sta nel rapporto diretto fra le due megacategorie dell’industria manifatturiera.
Perché abbiamo detto megacategorie? Innanzitutto, perché la Filctem, pur essendo un’unica organizzazione, è il frutto della fusione di due organizzazioni precedenti: da un lato la Filcea, che già riuniva i lavoratori dipendenti dalle imprese attive in tutti i diversi sub settori della chimica: petrolchimica, gomma, plastica, farmaceutica, più l’energia; dall’altro la Filtea, che riuniva lavoratrici e lavoratori dei cosiddetto sistema moda, ovvero del tessile, dell’abbigliamento, delle calzature, degli occhiali, e via andando. Ma anche perché la più antica Fiom riuniva ai metallurgici – ovvero ai siderurgici, facitori dell’acciaio, e poi a orafi e argentieri e ai lavoratori coinvolti con altri metalli – anche i meccanici, cioè i produttori di macchinari di ogni tipo, di mezzi di trasporto, e di vari e diversi beni di consumo durevole, realizzati con vari e diversi metalli. Metallurgici e meccanici, i famosi metalmeccanici, cui si sono aggiunti, in tempi più recenti, i produttori di apparecchiature e servizi informatici.
Perché dunque far incontrare proprio adesso, in un’unica assemblea unitaria, i rappresentanti di queste due megacategorie? Per diversi motivi. Il primo dei quali, come hanno spiegato nelle due relazioni introduttive Marco Falcinelli, segretario generale Filctem, e Michele De Palma, segretario generale Fiom, sta nella fase, a dir poco complessa, vissuta oggi dall’industria manifatturiera non solo in Italia, ma in Europa e nel mondo. Fase che è caratterizzata dall’insorgere e dall’affermarsi di problematiche tra loro anche diverse, ma che si presentano tutte nello stesso momento e hanno tutte lo stesso nome: transizione.
Si tratta, innanzitutto, della transizione digitale, ovvero dell’affermarsi delle nuove tecnologie digitali che rivoluzionano diversi aspetti fondamentali dell’attività produttiva, con forti ricadute organizzative, professionali, sociali e formative. Si tratta poi della transizione ambientale, che punta al crescente utilizzo di fonti energetiche meno inquinanti e, soprattutto, non clima-alteranti. E poi ancora della transizione industriale derivante dall’impatto cumulato delle prime due che porta a rilevanti cambiamenti nei prodotti e nei processi produttivi.
Un secondo motivo, anch’esso di natura globale, è quello derivante dall’assommarsi di due crisi che, a partire dal 2020, sono insorte una dopo l’altra e che hanno messo in forse l’assetto di un’intera fase dei processi di globalizzazione. Crisi che sono a loro volta conseguenza, in primo luogo, della repentina diffusione dell’epidemia da Covid-19, e, in secondo luogo, dell’invasione russa dell’Ucraina. Crisi che hanno avuto, e tutt’ora hanno, ulteriori conseguenze pervasive, come il rincaro dei prezzi delle materie prime energetiche e quindi dell’energia, o la rarefazione di componenti industriali di base, quali i microchip.
Un terzo motivo, più tipicamente nostrano, è quello relativo alla ripetutamente lamentata assenza, nel nostro Paese, di una politica industriale degna di questo nome. E più ancora, dell’assenza di una sede istituzionale in cui discutere di quali iniziative pubbliche vadano assunte per colmare questo vuoto. Due assenze che, nella situazione data, comportano conseguenze sempre più rischiose per l’apparato produttivo del nostro Paese. Ovvero di un Paese che, nonostante tutto, costituisce ancora la seconda potenza manifatturiera dell’intera Europa. E quindi anche di un Paese che deve all’industria, e cioè anche al lavoro industriale, gran parte della sua prosperità.
Tutto ciò detto, par di capire che le due maggiori federazioni di categoria Cgil attive nel campo dell’industria manifatturiera non accettano più di limitarsi a inseguire le crisi aziendali che si manifestano in diversi sub-settori di tale industria, cercando di aprire tavoli di confronto ora con le singole imprese, ora col Governo. Entrambe avvertono, anzi, la necessità di allargare i propri orizzonti e di perseguire obiettivi più ambiziosi. Ovvero di mettere al centro della propria iniziativa la questione industriale in quanto tale, partendo dal punto di vista del lavoro.
Tale ambizione non è campata in aria, ma è resa necessaria dalla fase di cui parlavamo e in cui oggi è immersa l’industria a livello globale. Infatti, come è scritto nel documento congiunto Filctem – Fiom approvato alla conclusione dei lavori dell’assemblea, “in questa fase, caratterizzata dalla riorganizzazione del sistema capitalistico”, nonché “dai processi di transizione ambientale, energetica e tecnologica”, i Governi “degli Stati Uniti e della Cina predispongono piani straordinari a sostegno delle proprie multinazionali e delle proprie aziende, con sussidi e incentivi diretti tesi a orientare la transizione, attrarre investimenti e favorire la riallocazione della produzione e il reinsediamento industriale all’interno dei propri confini”.
Secondo Filctem e Fiom, quella in cui oggi ci troviamo è dunque una nuova “dimensione globale” della “competizione tra Stati”; una competizione che è “tesa a ridefinire poteri e sfere di influenze per i decenni prossimi futuri”. Si tratta, insomma, di “una concorrenza a tutto campo che l’Europa rischia di pagare pesantemente e che proprio per questo richiede interventi straordinari e una adeguata dotazione economica per difendere l’industria continentale con un piano di investimenti finalizzati a orientare e governare i processi di transizione, difendere l’industria e le filiere produttive, salvaguardare e incrementare l’occupazione”.
La dimensione dei problemi affrontati dall’incontro di ieri è dunque globale e la risposta dovrebbe essere europea. Anche se alcune direttive assunte a livello di Unione Europea, come quelle relative al divieto di immatricolare nuove autovetture dotate di motori endotermici a partire dal 2035, hanno suscitato molte perplessità di cui si sono colti gli echi nel dibattito animato da metalmeccanici e chimici. (I primi coinvolti, nel prodotto auto, come produttori di motori, carrozzerie e di componentistica, nonché come assemblatori delle autovetture; i secondi come produttori di altre parti della componentistica, a partire dai copertoni, nonché dei carburanti.)
Poiché, comunque, al di là di alcuni indirizzi generali, la politica industriale è ancora in gran parte materia governata dai singoli Stati dell’Unione, e il livello nazionale è quello in cui si svolge gran parte dell’iniziativa sindacale, la prima proposta pratica avanzata dall’assemblea di ieri è quella della “istituzione di una Agenzia per lo sviluppo che coordini gli investimenti con le reali necessità industriali” del nostro Paese, “a cominciare dal potenziamento delle reti digitali, elettriche e del gas”, nonché “delle infrastrutture che dovranno permettere di utilizzare effettivamente quanto la ricerca e la tecnologia metteranno a disposizione”.
Il documento è poi molto dettagliato e la sua analisi andrà sicuramente ripresa; per il momento, ci permettiamo di suggerire ai nostri lettori di prenderne visione direttamente nelle pagine del Diario del lavoro in cui è pubblicato per intero.
C’è però un’altra considerazione che vogliamo svolgere adesso. Nelle righe conclusive del documento di cui stiamo parlando, si può leggere che “Fiom e Filctem, nella loro reciproca autonomia, propongono alla Cgil di costituire un coordinamento unitario confederale delle politiche industriali e occupazionali, promuovendo la costituzione di un osservatorio sull’industria quale luogo politico per l’elaborazione di proposte atte al rilancio di scelte di politica industriale”; un osservatorio, ancora, che “possa fornire un contributo anche di carattere rivendicativo e rilanciare una nuova stagione di confronto con le imprese e con le Istituzioni del Paese”.
Quella che viene prospettata, insomma, è qualcosa di più di una novità organizzativa. Dovrebbe trattarsi, infatti, di un nuovo modo di operare della stessa Confederazione. Per intanto, quel che si può registrare è che fra i dirigenti e i delegati metalmeccanici e chimici, o almeno fra quelli presenti all’appuntamento di ieri, c’erano una buona atmosfera e una notevole sintonia. Sintonia maturata da Filctem e Fiom, fra l’altro, partecipando alle attività di IndustriAll Europe, la sigla che raccoglie, a livello continentale, i sindacati che organizzano sette milioni di lavoratori dell’industria manifatturiera, delle miniere e dell’energia. Se son rose, fioriranno.
@Fernando_Liuzzi