L’ultima democristiana. Chi ha meno di 50 anni forse neanche lo sa, ma ancora trenta anni fa, appena prima che i dc svaporassero in curiosità storica, il termine democristiano aveva spesso in Italia una connotazione peggiorativa, quasi un insulto. Toccherà agli storici dipanare l’intricata matassa del ruolo che la Democrazia Cristiana, nel bene e nel male, ha avuto nell’Italia della seconda metà del ‘900. Non solo in Italia, peraltro: partiti di ispirazione simile ce n’erano un po’ dappertutto in Europa, magari sotto l’etichetta “popolare” che, del resto, era anche il nome della prima incarnazione della Dc italiana, ai tempi di Sturzo. Anzi, se ci si ferma ai nomi, i Popolari sono tutt’ora la formazione politica più diffusa in Europa, vittoriosa alle ultime elezioni per il Parlamento di Strasburgo.
I Popolari di oggi, tuttavia, sono più che altro formazioni moderate, liberalconservatrici, vicine agli interessi delle classi medie benestanti, naturalmente egemoni in paesi stabili e prosperi, come gran parte dei paesi europei. Anche se si chiamano in un altro modo, per esempio, i tories britannici vengono dalla stessa matrice. La Democrazia Cristiana era un’altra roba. La Dc aggiungeva al mix ideologico dei Popolari di oggi la rivendicazione specifica di una dimensione etica della politica. Come il suo dirimpettaio di allora, il Partito Comunista, del resto. Il fatto che questa dimensione etica della Dc avesse una matrice religiosa, piuttosto che filosofica, è secondario.
In questo senso, Angela Merkel è l’ultima democristiana. Forse non è un caso che il suo partito popolare sia anche l’ultimo che ancora si chiama Cdu, Democrazia Cristiana. Ciò che conta è che Angela Merkel ha sacrificato e sta sacrificando la propria carriera politica in nome di un principio.
Dal 2015 ad oggi, infatti, la Merkel ha finora testardamente difeso il principio delle porte aperte. È un dettato umanitario e universale, prima che cristiano. Ma è chiaro: le nostre frontiere sono aperte ai poveri, ai diseredati, all’umanità in fuga da guerre e sopraffazioni. In una parola, ai rifugiati. È un messaggio coraggioso. Tenere il punto, infatti, le è costato perdere una popolarità che sembrava inattaccabile e oggi, forse, la sua ultima chance di governare la Germania, di fronte alla protesta che monta, proprio contro quel principio.
Naturalmente, chi ha convissuto per decenni con i democristiani ne legge anche con facilità le tortuose contorsioni che, spesso, discendono dai principi.
Nell’universo democristiano, le parole sono una cosa, i fatti un’altra. E la conferma viene dall’operazione con cui la Merkel si è preoccupata di svuotare, nei fatti, il fenomeno che aveva chiamato in causa il principio così testardamente proclamato. L’onda dei rifugiati è stata affidata ad un paese di democrazia tenue e di scarso rispetto per i diritti umani come la Turchia di Erdogan e lì è stata efficientemente spenta e ridotta al silenzio. Il cane da guardia turco ha fatto, insomma, il lavoro sporco che la Merkel non voleva fare e, per questo, è stato anche debitamente pagato. Un accordo che non può che suscitare indignazione e riprovazione, anche se il governo di centrosinistra italiano ha provato a replicarlo in Libia. Ed è possibile che, nelle prossime settimane, per sedare la rivolta nel suo partito, la Merkel si esibisca in qualche altro equilibrismo di pura matrice democristiana.
Tuttavia, nella politica urlata di oggi, questi equilibrismi non sono solo sofisticati esercizi di ipocrisia. Quando le raffiche di tweet o le dichiarazioni smozzicate in televisione orientano e condizionano l’opinione pubblica almeno come la realtà concreta di decreti e atti legislativi le parole finiscono per contare quanto i fatti. Dire “accogliamo i rifugiati” anche se poi, nell’ombra, li si depista in qualche modo, è un messaggio politico a tutto tondo che ha, almeno, il pregio di impedire che le coscienze si addormentino. Ha un costo politico e, come tale, il politico che lo lancia merita rispetto. Sono tempi cupi e bisogna far tesoro del poco che c’è.
Maurizio Ricci