Merci senza frontiere. Come il libero scambio deprime occupazioni e salari – edito da Rogas nel novembre 2022 nella collana Inciampi – è il secondo volume della trilogia scritta a quattro mani da Aldo Barba, professore associato di Politica economica dall’Università di Napoli Federico II, e Massimo Pivetti, professore ordinario di Economia politica alla Sapienza Università di Roma. Il lavoro dei due studiosi è dedicato all’analisi critica dei tre aspetti principali della mondializzazione: la libertà di movimento delle persone, quella delle merci e quella dei capitali. Nello specifico, Merci senza frontiere affronta il tema della libera circolazione internazionale delle merci, interpretata dai due autori «come l’aspetto della mondializzazione di fatto maggiormente in grado di indebolire il potere contrattuale dei salariati e peggiorarne le condizioni generali di vita nelle nazioni a capitalismo avanzato». Poveri sempre più poveri, ricchi sempre più ricchi, lo sbilanciamento dei rapporti di potere tra gli Stati nazionali e le grandi imprese che al termine dei Trenta Gloriosi, hanno smantellato lo Stato sociale in favore di un nuovo corso dell’economia globale a colpi di finanziarizzazione, deregolamentazione e privatizzazione.
A partire dagli anni ’80 nelle nazioni più sviluppate si è assistito a un graduale processo di sostituzione della produzione manifatturiera interna con importazioni di merci prodotte in regioni a più basso costo del lavoro. Questa fase di deindustrializzazione e di delocalizzazione industriale nei paesi in via di sviluppo, con la crescente apertura al commercio internazionale, ha avuto come conseguenza una iperspecializzazione produttiva interna e un effetto depressivo sui salari, cui si è accompagnato – specialmente in Europa – una politica di sempre maggiore flessibilità del mercato del lavoro come – fallimentare – strategia di perseguimento della politica del pino impiego, che ha condotto a forme di precarizzazione del lavoro, allo smantellamento dei diritti e all’indebolimento del ruolo dei sindacati che si trovano così a lavorare sulla difensiva.
Il capitale ha aumentato il suo potere e la forbice delle disuguaglianze si è allargata sempre di più, con un concreto peggioramento delle condizioni di vita dei ceti popolari. Ma se oggi il dato può apparire tristemente ovvio, Barba e Pivetti non mancano di sottolineare che già John Maynard Keynes aveva vaticinato a riguardo: «Keynes si sforza di convincere ascoltatori e lettori che per riuscire a impiegare tutte le attrezzature produttive e le forze di lavoro di cui la nazione dispone, al fine di accrescere il livello di vita dell’intera popolazione e di migliorarne la qualità, essa doveva emanciparsi il più possibile dall’interferenza dei cambiamenti economici che hanno luogo nel resto del mondo, e che una politica di maggiore autosufficienza nazionale poteva facilitare considerevolmente questo compito».
Barba e Pivetti analizzano il fenomeno del libero scambio di merci e delle sue conseguenze attraverso la lucida lente accademica nell’ottica del relativismo politico che tuttavia, alla luce di dati, risulta incontrovertibile. Nei dieci capitoli che compongono il saggio, la prospettiva diacronica del fenomeno è dominante e mai sganciata dall’analisi sincronica dei dati, anche nella valutazione degli scenari possibili e delle eventuali soluzioni di “aggiustamento” della deriva capitalistica in corso. Il capitalismo, infatti, non può essere soppiantato: «Limitazioni al libero scambio internazionale delle merci non segnerebbero la fine del capitalismo; semplicemente permetterebbero di contenerne i guasti sociali e ambientali, ossia renderebbero il sistema un po’ più tollerabile per la maggioranza della popolazione nell’attesa che prima o poi maturino le condizioni del suo superamento. Con l’imposizione di limiti al libero scambio il conflitto distributivo tra capitale e lavoro di certo non verrebbe soppresso, né sparirebbe il dominio del primo sul secondo; semplicemente potrebbe aversi […] un maggiore potere contrattuale dei salariati, con importanti effetti redistributivi sia diretti che indiretti».
Di particolare interesse è il capitolo dedicato ad Ambientalismo e libero scambio, in cui si osserva come «la crescita degli scambi internazionali di beni e servizi […] è stata negli ultimi quarant’anni una fonte rilevante di degrado ambientale». Deforestazioni per far posto a monocolture, allevamenti intensivi e attività estrattive, devastazioni per lo sfruttamento di risorse minerarie che hanno reso inabitabili intere regioni; e ancora l’impattante traffico marittimo intercontinentale delle navi porta-container, il traffico aereo e quello pesante su strada: «il commercio internazionale è responsabile per circa il 30% di tutte le emissioni di CO2 da combustibile fossile derivato da attività di trasporto e per più di 7% di quelle totali». Eppure, segnalano Barba e Pivetti, nel discorso ambientalista il libero scambio di merci – e quindi delocalizzazioni e iperspecializzazioni produttive – non figura mai come sensibile concausa del disastro ambientale in corso.«Più i luoghi produzione e i luoghi di consumo si allontanano maggiore è l’effetto inquinante. L’aumento dell’effetto inquinante è significativo […] e avviene a parità di tassi di crescita». Per cui, «se il settore continuasse a espandersi ai tassi degli ultimi decenni, le emissioni potrebbero nel 2050 crescere del 250%». Ma in assenza di prospettive realistiche, e cioè di un «cambiamento sociale straordinario, il passaggio a un sistema sociale caratterizzato da un modo di produzione totalmente diverso da quello che conosciamo; un sistema basato sulla proprietà collettiva della terra e dei mezzi di produzione, con pianificazione centralizzata dei processi produttivi e della destinazione del sovrappiù sociale», i due autori sostengono che l’unica soluzione è, appunto, un contenimento dei danni del capitalismo «un miglioramento del suo funzionamento» cui sarebbe funzionale «una drastica diminuzione del peso del commercio internazionale nell’attività economica globale, ottenibile attraverso una minore specializzazione e una maggiore diversificazione produttiva delle principali economie – ossia con un loro più elevato grado di autosufficienza». La critica tra le righe è indirizzata all’impostazione della corrente di Greta Thunberg, «paladina dell’ambientalismo mondialista», i cui interventi sono infarciti di richiami alla frugalità e alla necessità di “cambiare radicalmente” l’attuale sistema di produzione; nel suo discorso, però, è totalmente assente il concetto di capitalismo e quindi la programmazione di un piano per arginarne gli effetti devastanti. Per contro, Barba e Pivetti richiamano le posizioni di Naomi Klein, le cui parole sono «l’unico riconoscimento da parte d tutto il movimento Green New Deal dell’impossibilità di essere “green” e al contempo a favore del libero scambio».
Al termine di questa complessa disamina, i due autori osservano con lucido realismo che di per sé il sistema economico non può essere cambiato, ma auspicano la nascita di «forze politiche capaci di perseguire con coerenza la piena occupazione come obiettivo primario della politica economica, dunque anche la riduzione del contenuto di importazioni della domanda finale e il controllo di tutte le transazioni con il resto del mondo». La soluzione risiederebbe nell’attuazione di un processo di limitazione delle importazioni, ma soprattutto nel rinvigorimento del ruolo dello Stato-nazione e del rafforzamento dello spazio nazionale per contrastare la disoccupazione. «Nessun programma socio-economico avanzato è perseguibile da una singola nazione senza una riduzione della sua dipendenza dall’estero, ossia senza un sistema articolato di controlli su tutte le sue transazioni con il resto del mondo».
Elettra Raffaela Melucci
Titolo: Merci senza frontiere. Come il libero scambio deprime occupazioni e salari
Autori: Aldo Barba, Massimo Pivetti
Editore: Rogas Edizioni – Collana di studi politici Inciampi
Anno di pubblicazione: novembre 2022
Pagine: 225 pp.
ISBN: 9788899700836
Prezzo: 19,70€