Calano finalmente gli incidenti sul lavoro. Quelli mortali restano più o meno stabili, ma l’attenzione è sempre forte. Aumenta invece il numero delle malattie professionali, ma anche perché sono stati ampliati i criteri di accertamento di queste malattie. Sono questi i dati principali emersi dalla relazione che Massimo De Felice, il presidente dell’Inail, ha presentato oggi a Montecitorio nella sua relazione annuale. Una relazione completa ed esauriente, come è abituato a fare il presidente, un informatico che mette tutto il suo impegno e la sua professionalità per cercare di far funzionare alla grande l’istituto che gli è stato affidato. E per questo De Felice da un lato ha parlato delle tre scelte innovative che l’istituto ha fatto nel corso del 2015, ma ha anche indicato i tre aiuti che dovrebbero venire dall’esterno, indispensabili per avere una perfetta governance per gestire una grande impresa multifunzione come è l’Inail.
Il primo dato indicato da De Felice è quello sugli incidenti. Nel 2015 ne sono stati denunciati 637mila, con una diminuzione del 4% rispetto all’anno precedente e del 22% rispetto al 2011. Ancora migliori le cifre relative agli infortuni riconosciuti sul lavoro, che sono stati 416mila, circa 30mila in meno rispetto al 2014, un miglioramento tra il 6 e il 7%. Il 18% di questi infortuni ha avuto luogo fuori dall’azienda, in itinere, come vengono definiti.
Meno brillanti i dati relativi agli infortuni mortali, la grande piaga del lavoro. Ne sono stati denunciati nel 2015 1.246, erano 1.152 nel 2014, ma 1.395 nel 2011. Di questi 1.246 ne sono stati accertati come incidenti sul lavoro 694 (di cui 382, il 55%, fuori dall’azienda) e per altri 26 è ancora in corso la relativa istruttoria, il processo amministrativo: se tutti fossero catalogati come incidenti sul lavoro ci sarebbe una crescita rispetto all’anno precedente dell’1,7%, al contrario se tutti fossero catalogati come incidenti non sul lavoro ci sarebbe un calo del 2%. Comunque quei 694 già accertati mostrano un calo del 20% rispetto al 2011. Tante, troppe le giornate di inabilità legate agli incidenti, sono state l’anno passato 11 milioni.
Il problema infortuni resta dunque, ed è tuttora molto forte, inaccettabile, come tutti affermano, ma qualcosa migliora. Non a caso il rapporto con il 2011, quattro anni prima, mostra un miglioramento deciso. C’è da rilevare che la crescita di attività produttiva che è stata registrata in Italia l’anno passato rispetto all’immediato passato ha avuto un effetto moltiplicatore, nel senso che, è evidente, più si lavora, più accadono incidenti. Anche se c’è da osservare che normalmente il calo o la crescita della produzione si fa sentire con una certa distanza, serve almeno un anno perché le statistiche degli incidenti ne risentano.
Crescono invece le malattie professionali. Le denunce sono state 59mila nel 2015, 1.500 in più rispetto al 2014. La causa professionale è stata riconosciuta nel 34% dei casi, mentre il 3% è ancora in istruttoria. Una crescita che si può far risalire anche al fatto che è stata modificata l’area delle malattie professionali, in molti casi prima non c’era la presunzione, per cui adesso è stato invertito l’onere della prova e quindi ne risentono le statistiche. Comunque se le malattie sono state 59mila i soggetti ammalati sono stati molto meno, 44mila, di cui il 39% per causa professionale riconosciuta: ciò perché un soggetto può avere più di una malattia.
Importante le indicazioni del presidente sulle attività e il bilancio dell’istituto. Buoni i risultati economici e l’azione e gli invcentivi per la sicurezza e la prevenzione, come anche gli investimenti (nei palazzi storici, nei fondi immobiliari, nel capitale di Banca d’Italia). Massiccio è risultato il lavoro di controllo effettuato, che ha interessato 21mila aziende nel 2015, l’87,4% delle quali è risultato irregolare. De Felice ha espresso l’auspicio che il livello di efficienza raggiunto dal servizio ispettivo dell’istituto sia mantenuto anche quando funzionerà l’Ispettorato nazionale del lavoro che è stato recentemente costituito mettendo assieme tutti i settori ispettivi dell’Inail, dell’Inps, del ministero del Lavoro.
Tre le scelte innovative compiute dall’Inail nel 2015. La prima ha interessato la rete dell’alta tecnologia: sono stati definiti pochi grandi progetti e in questi sono stati coinvolti centri di eccellenza, l’Istituto italiano di tecnologia di Genova, il Campus biomedico di Roma, la Scuola superiore Sant’Anna di Pisa, mettendo al centro di questa rete come coordinatore dei diversi progetti il Centro protesi di Budrio dell’Inail.
La seconda scelta ha riguardato i protocolli di ricerca, la cui gestione è stata profondamente innovata, riducendo drasticamente la polverizzazione dei progetti, sollecitando la pertinenza ai temi istituzionali, imponendo il principio della responsabilità, prescrivendo i criteri di progettazione e di controllo nel tempo dei risultati. Infine i nuovi presidi organizzativi: l’organizzazione digitale per riprogettare i processi; la pianificazione per ben definire e realizzare le strategie nella logica della risoluzione dei problemi; l’ufficio Audit in conformità agli stati di governante europei, posto in staff alla presidenza.
Queste le tre scelte operative e profondamente innovative compiute dall’Inail. Ma De Felice ha voluto anche sottolineare nella sua relazione i tre aiuti che potrebbero venire dall’esterno e che servirebbero a realizzare quella governance da grande impresa multifunzione. Il primo aiuto sarebbe quello dell’omogeneizzazione contrattuale, perché all’interno dell’istituto vengono applicati troppi e troppo diversi contratti di lavoro: l’ideale, ha detto De Felice, sarebbe avere un contratto di dipendente Inail.
Il secondo aiuto sarebbe quello necessario per sanare la frattura generazionale che si è creata con il blocco delle assunzioni. Una frattura che ha impedito l’assunzione di giovani, capaci di portare professionalità e veduta generale tutte differenti, forse indispensabili per ben agire. Il terzo aiuto ha a che fare con la protezione dei brevetti e la partecipazione a start up. Se i brevetti fossero più difesi e si potesse concorrere alla frazioni di start up si avrebbero risultati importanti di trasferimento tecnologico. Indicazioni preziose per il governo.