Agostino Megale, segretario generale della Fisac Cgil, avevate previsto che sarebbe esploso questo disastro in Monte Paschi di Siena?
Che la situazione del gruppo fosse tra le più difficili e complicate all’interno del settore bancario che sta vivendo la crisi più profonda dal dopoguerra, lo avevamo presente. Che la situazione avesse risvolti di questa drammaticità, fino a questa operazione sui derivati, assolutamente no, eravamo all’oscuro. E’ evidente che questo fatto ci dice che la situazione è più drammatica di ieri e a pagare le conseguenze non possono essere i 30mila lavoratori o i 6 milioni di clienti.
Cosa potete fare per evitare questo?
Dopo il precipitare di questa tempesta abbiamo sollecitato l’azienda a mettere in trasparenza cosa intende fare e in che modo ha intenzione di affrontare le difficoltà. Abbiamo ribadito la nostra posizione nel corso del primo incontro con il gruppo e riteniamo che si debba ripartire dall’accordo quadro separato che non abbiamo sottoscritto, dal momento che eravamo contrari al processo di esternalizzazione che ha coinvolto oltre 1000 lavoratori, contro il quale avevamo proposto un progetto di solidarietà che permettesse di tutelare l’occupazione anche facendo sostenere ai lavoratori sacrifici ben più grandi, quali minori retribuzioni dovute a minor ore lavorate.
Oltre 7mila lavoratori hanno bocciato quell’accordo e nei fatti questo è un punto di debolezza per il sindacato. Dobbiamo trovare la capacità di andare oltre e lavorare sull’unità sindacale superare le divisioni e fare ciò che serve per tutelare l’occupazione e rilanciare la banca.
È necessario salvaguardare il patrimonio, la storia, la professionalità e le competenze del Mps, ma quest’impresa richiama un problema più generale che interessa tutto il sistema bancario.
Cosa servirebbe al sistema bancario?
Applicare le regole fino in fondo.
Ma le regole in vigore sono sufficienti?
Oggi serve avviare anche una riforma del sistema dei derivati, perché bisogna mettere il Paese a conoscenza di questi prodotti finanziari, chi li ha, quanti sono, quali rischi producono. Non è più accettabile questa discussione finta, sulla politica che controlla le banche. In realtà quello che non è più sostenibile è questa crisi prodotta dalla finanza: è la finanza, infatti, che condiziona la politica, i sistemi locali, il Paese. C’è bisogno, quindi, di rimettere la finanza sotto controllo.
Crede che vada riformato anche il ruolo dei banchieri?
Sì, assolutamente. La classe dirigente ha bisogno di un rinnovo molto forte, perché dalla foresta pietrificata degli anni ’90 è passata ai processi di fusione del 2000. E’ necessario ristrutturare il sistema bancario, le competenze e progetti industriali, con l’idea di essere al servizio delle famiglie e delle pmi e non della finanza. Non è sufficiente nominare un nuovo presidente dell’Abi, ma serve una nuova classe dirigente. Inoltre, in questi tempi di crisi profonda, occorre ridurre i compensi dei vertici: grida vendetta il fatto che il lavoratore dipendente ha il salario fermo al ’99 e i compensi del top management sono cresciuti più del 100%.
C’è chi accusa la Banca d’Italia di non aver effettuato efficacemente la vigilanza. Lei che ne pensa?
Io penso, e su questo sono d’accordo con il presidente della Repubblica, che Bankitalia abbia svolto il suo ruolo con efficienza e competenza. Il problema è che non ha sufficienti poteri per intervenire. Infatti, non basta il compito ispettivo, ma dovrebbe avere anche il potere di poter concretamente rimuovere manager non adeguati. La Consob, invece, sarebbe potuta intervenire in modo più autorevole e anche il Tesoro sarebbe potuto intervenire sulle fondazioni.
Sulle fondazioni cosa si potrebbe fare?
Applicare la norma Ciampi alla quale si era opposta la Lega Nord che aveva dichiarato l’intenzione di “mettere le mani sulle banche”, ma per fortuna la Corte Costituzionale non lo ha permesso. Le fondazioni svolgono un ruolo positivo tra le banche e il territorio ma devono avere un ruolo di minoranza e non poter avere determinati poteri, quali quello di scegliere i manager.
Secondo lei servirebbe una riforma degli organi di vigilanza?
No, servirebbe come ho detto poteri più netti e precisi a Bankitalia, e poi un senso di responsabilità ed etica, una politica più autorevole e una Consob più attenta che non decida di chiudere l’unico ufficio di analisi quantitativa sui derivati.
Francesca Romana Nesci