Il segretario generale del sindacato del credito Fisac Cgil, sentito da Il diario del lavoro, ha spiegato le dinamiche che hanno portato, dopo una lunga serie di trattative e due scioperi, al rinnovo del contratto dei bancari. Nei giorni scorsi l’accordo e’ passato al vaglio del direttivo, nelle prossime settimane saranno i lavoratori a valutarlo nelle assemblee, fino all’approvazione finale.
Megale, come valuta il risultato, molto sofferto, di questo contratto?
Aver conquistato il contratto, averne difeso il ruolo fondamentale di tutela universale evitando arretramenti e anzi producendo delle innovazioni è un risultato importante e straordinario, soprattutto considerati tutti quei soggetti che avrebbero voluto in un colpo solo abolire il contratto e sconfiggere il sindacato.
Di questo avete discusso nel Direttivo?
Si, ed è stata una discussione intensa, partecipata e carica di passione che ci ha occupato per due giornate. Si è discusso, sia nel direttivo precedente in cui è stato dato il mandato alla trattativa sia in questo, del fatto che la riconquista del CCNL contrastando la disapplicazione significa non solo sconfiggere le posizioni di ABI ma anche contrastare chi come il Governo sul piano politico punta alla delegittimazione del sindacato confederale e del contratto nazionale.
Tuttavia, il Direttivo, chiamato per votare sull’ipotesi di intesa del rinnovo del contratto, si e’ diviso. Un terzo ha votato contro. Perche’ questo dissenso?
Il risultato del Direttivo è stato l’approvazione dell’ipotesi di rinnovo, con 109 a favore e 56 contrari. Valuto molto positivamente un risultato del genere. Se guardiamo il contratto nazionale del 2012 ne usciamo più forti e più uniti anche come FISAC. Siamo riusciti, in questi due anni, ad aumentare l’unità interna pur mantenendo le diverse sensibilità. E siamo riusciti soprattutto a far vivere l’unità di tutto il sindacato nella categoria. Otto sigle sindacali unite come mai prima.
Dunque un successo da ogni punto di vista?
Aver riconquistato il contratto sconfigge la teoria e la pratica della disapplicazione dello stesso che se attuata avrebbe generato il far west delle relazioni sindacali. Certo in quello scenario avremmo agito con la mobilitazione, non è un caso che avevamo già deciso due giornate di sciopero così come avremmo impugnato la questione sul piano legale. Bisogna, però, essere chiari anche una eventuale azione legale, di per se, non sarebbe stata in grado di restituire quel valore sociale al contratto proprio del ruolo delle parti sociali.
Cosa sarebbe accaduto se non si fosse riusciti a rinnovare il contratto? Quale sarebbe stato lo scenario, nel settore?
I gruppi bancari con la disapplicazione avrebbero fatto saltare l’area contrattuale con 60 mila lavoratori fuori, non avrebbero più riconosciuto gli scatti di anzianità, avrebbero fatto saltare le indennità di mobilità, i permessi e una parte delle ferie. In sostanza avrebbero scelto di attaccare fior da fiore la parte per loro più indigesta delle tutele contrattuali. Il risultato conclusivo non solo difende gli istituti contrattuali nella loro interezza ma respinge sia l’intervento strutturale sugli scatti d’anzianità che quello congiunturale contrastando l’idea del rinnovo a costo zero.
Per raggiungere questi obiettivi è stato importante sia il mandato dato dal nostro direttivo che l’azione unitaria alla ripresa della trattativa che ci ha consentito di mettere in campo anche una nostra proposta in cui per fare il contratto ci rendevamo disponibili al blocco per la vigenza del TFR (sugli istituti aziendali e ad personam) oltreché a un allungamento dei tempi della durata contrattuale fino a quattro anni.
E’ un ipotesi di contratto che è stata definita dall’anima sociale. Cosa significa per voi?
L’anima sociale del contratto si articola su tre diversi piani parimenti importanti.I giovani che hanno un aumento superiore alla media; l’intervento per coloro che hanno perso il lavoro o che sono nel fondo emergenziale, per cui abbiamo costruito i presupposti affinché possano essere reimpiegati nella categoria; le tutele, pur parziali, dal jobs act quindi la previsione di garanzie rispetto all’art. 18 che il governo ha negato a milioni di lavoratori. Non dobbiamo avere timore nel definire l’ipotesi di rinnovo contrattuale difensiva sapendo che il suo valore è nel non avere concesso arretramenti ed avere introdotto alcuni elementi di novità sociale.
Adesso il contratto passerà al vaglio delle assemblee, che dovranno dare il via libera finale. Come lo presenterete?
Alle assemblee ci si va sostenendo il giudizio positivo sull’ipotesi d’accordo. Non sono consentiti dualismi e doppiezze del gruppo dirigente. E’ chiaro a tutti che una volta che il Direttivo nazionale ha votato, quella diventa la posizione di tutta la FIASC. Tutto il gruppo dirigente è impegnato in questa direzione. Se qualcuno pensa di voler riprodurre le divisioni e le tensioni del 2012 sappia che commette un grave errore e fa del male a tutto il sindacato. Certamente il mandato a firmare dovrà venire dalle assemblee, perché è assieme ai lavoratori che si da valore al contratto nazionale. Lo presenteremo come una riconquista di tutti. Il quindici giugno, data entro la quale si concluderanno le assemblee, se ci sarà il mandato con la firma metteremo la parola fine alla possibile disapplicazione del CCNL in categoria.
Cosa intende per “riconquista di tutti”?
Intendo che è frutto della mobilitazione dei lavoratori e dell’aver tenuto un fronte unitario di tutto il sindacato dall’inizio alla fine. Senza queste due condizioni il contratto non ci sarebbe stato. Il contratto stesso è già una conquista. Veniamo da un periodo di scioperi, di trattative interrotte, di un’ABI che minacciava la disdetta del contratto. Siamo partiti da una proposta della controporte che contrapponeva due sole strade: svuotare il contratto o la disapplicazione. Abbiamo costruito unitariamente la terza ipotesi che favorisce l’area contrattuale ed il suo mantenimento; che favorisce l’occupazione nella categoria; che non consente stravolgimenti degli inquadramenti; che favorisce i salari con il mantenimento degli scatti di anzianità; che trova la mediazione sul calcolo del TFR solo su paga base e scatti di anzianità incidendo, quindi, solo su coloro che hanno voci aggiuntive in busta paga; che introduce garanzie rispetto al jobs act; che favorisce i giovani con un aumento dell’8% in busta paga di 170 euro da subito e di 250 euro a regime. Questi ultimi due elementi sono di per se un valore aggiunto che dovremmo far vivere anche rispetto alle altre categorie. Mentre c’è un governo che toglie diritti c’è un sindacato che trova la soluzione per garantirli. Mentre nelle crisi sono i più deboli a pagare noi privilegiando i giovani abbiamo voluto sostenere proprio coloro che negli ultimi anni sono stati relegati a categoria debole e senza futuro. Per noi i giovani vengono prima.
Gli aumenti che avete ottenuto sono congrui, rispetto alla situazione?
In tempi di deflazione abbiamo ottenuto un 3% di aumento pari a 85 euro che se consideriamo anche gli scatti di anzianità e che gli aumenti non saranno erogati sotto forma di EDR ma in paga base significa vedersi riconosciuto un aumento del 5,4% quindi 155 euro. Rispetto al precedente contratto in cui ottenemmo il 6,05% con il blocco degli scatti e con valori inflattivi ben superiori a quelli attuali.
Prima ha parlato dei giovani: in che senso sono al primo posto?
Abbiamo ridotto dal 18% al 10% il salario di ingresso, in modo che i giovani abbiano un incremento salariale mensile di circa 170 euro pro capite, che si aggiungono agli 85 euro a regime di aumento contrattuale. Da considerare che abbiamo raggiunto un risultato del genere in un periodo di deflazione. Questo dimostra che è il sindacato, non Matteo Renzi, a occuparsi dei giovani. Noi abbiamo contrastato la logica dei doppi regimi. Mentre Renzi toglie diritti, come l’art. 18, e noi li difendiamo. Inoltre, abbiamo confermato il Fondo per l’occupazione e abbiamo preso l’impegno con l’ABI per non lasciare solo nessun licenziato.
Le politiche del governo non vi hanno quindi aiutato?
I pubblici dipendenti hanno il contratto fermo dal 2010. Il governo avrebbe fatto altrettanto con noi. In questo contesto di crisi, difficoltà di crescita, sofferenze e processi di riorganizzazione, Renzi ha scientemente delineato un attacco ai sindacati, con un’assenza di confronto con le parti sociali e la teorizzazione che i contratti nazionali vanno superati. Il salario minimo per esempio, rischia di essere il soggetto che mette fine ai contratti. Aver rinnovato il nostro contratto e quello del commercio pochi giorni prima dimostra che i contratti ci sono e che si rinnovano.
Il governo, al di la’ del rapporto, o non – rapporto, col sindacato, ha anche fatto interventi specifici sul settore bancario. Come li valuta?
Il governo non ha saputo prendere una posizione forte e chiara sulla costituzione di una bad bank come si è fatto in altri paesi. E l’intervento sulle banche popolari è stato realizzato in modo maldestro facendo l’interesse di pochi a discapito di molti. Questi sono ulteriori elementi a dimostrazione della tesi che questo governo la categoria del credito l’ha penalizzata ed avrebbe fatto anche di peggio se non avessimo fatto il nostro doveroso lavoro come sindacato.
Nonostante tutte le difficoltà che lei ha appena elencato, siete comunque riusciti a ottenere dei risultati importanti. Come e’ stato possibile?
La partecipazione, gli scioperi, anche tutte le trattative difficili e durissime, sono state non solo efficaci, ma sono state supportate dai lavoratori e da tutte le organizzazioni sindacali, con una posizione unitaria e comune. Il sindacato del credito, grazie alla sua unione, è riuscito a superare le molteplici difficoltà che si sono andate a creare nel corso di questo lungo periodo di contrattazione Abbiamo ripreso le nostre radici: abbiamo realizzato i presupposti affinché i bancari italiani possano avere un contratto nazionale.
Emanuele Ghiani