Le diversità umane e la loro valorizzazione sono parte del dibattito corrente in qualsiasi ambito si consideri. Eppure la loro pervasività troppo spesso non si traduce in azioni concrete di bilanciamento tra doveri e diritti, quanto piuttosto riflette uno svuotamento di significato nell’ossessività con cui se ne parla e si teorizza. In alcuni ambiti, poi, tra l’altro di particolare centralità, il discorso viene addirittura sottovalutato, appiattito su pratiche consolidate che travestite da dispositivi portatori di garanzie non fanno altro che marginalizzare le differenze tra gli individui. Un caso tra tutti è quello della medicina, che nelle sue indicazioni tende a trascurare le dimensioni di genere, etnia, abilità, generazione e orientamento sessuale. Dissipare la misconoscenza e mettere in atto queste pratiche al centro di numerosi studi si impone come imperativo non più prorogabile, che dilaga dalla sfera della tutela della salute della persona alla prevenzione dei rischi sul lavoro. Questo il cuore della giornata di confronto dal titolo “Medicina di genere-specifica e rischi sul lavoro di genere, etnici, generazionali, abilità e orientamento sessuale”, un seminario informativo organizzato da donna, immagine città, organizzazione no profit che opera per la diffusione delle pari opportunità e il contrasto agli stereotipi di genere promossa da Integronomia – ergonomia e sostenibilità, Istituto Nazionale Biostrutture e Biosistemi Consorzio Interuniversitario, Ergolab Unitus presso Dipartimento di Scienze Agrarie e Forestali dell’Università della Tuscia, FEI – Federazione Esperantista Italiana. L’evento si è svolto a Roma presso la sede Europa Experience intitolata a David Sassoli, luogo dove scoprire l’Europa e il Parlamento europeo in uno spazio innovativo, multimediale e dinamico; una scelta che richiama l’urgenza di costruire un’Europa forte e coesa sul piano dei diritti, il cui sistema di welfare metta al centro la persona.
Ad alternarsi nei due panel di dibattito numerosi interventi di alcune tra le più preminenti professioniste e professionisti che si occupano di diritti, medicina di genere e lavoro.Sono le persone a fare la cultura, precisa a più riprese Sonia Marino, presidente e fondatrice di “donna immagine città”, e promuovere buone pratiche per le pari opportunità è un lavoro che si comincia dal basso, non solo quindi attraverso l’emanazione di protocolli e indicazioni nazionali e sovranazionali. Al centro di ogni intervento risiede il concetto di parità come elemento di benessere, in cui sono le differenze a fare la differenza: i concetti di variabilità, pluralità, specificità, diversità generano equità e comprendere fino in fondo l’esistenza questi aspetti, nonché considerarli nei risvolti pratici, è la chiave di volta per scardinare la tossicità di un mondo modellato sulla specificità dell’uomo bianco.
In questo senso, l’importanza della medicina di genere mette in luce l’impostazione androcentrica del mondo e quanto questa sia pericolosa in termini di ricadute negative sulla salute e la qualità della vita delle donne. Ma la medicina di genere, si specifica nella mission dell’incontro, non riguarda solo la salute delle donne, piuttosto si interessa delle malattie che possono colpire entrambi i sessi: un nuovo livello di analisi da inserire in tutte le aree della medicina già esistenti. Tuttavia lo sviluppo di questa disciplina risulta essere un percorso a ostacoli, come rileva Flavia Franconi, professoressa di farmacologia e fondatrice Laboratorio Nazionale Medicina di Genere, poiché la medicina moderna è sotto il predominio maschile. Farmaci e medical device sono calibrati sul maschio bianco di 70kg di media età, pregiudicando così la corretta posologia delle terapie e l’impiego di alcune strumentazioni sulle donne. Certo l’Italia è stato il primo Paese in Europa a formalizzare l’inserimento del concetto di “genere” in medicina con l’approvazione del decreto attuativo relativo alla Legge 3/2018 Piano per l’applicazione e la diffusione della medicina di genere sul territorio nazionale, indispensabile a garantire ad ogni persona la cura migliore, rispettando le differenze e arrivando a una effettiva “personalizzazione delle terapie”. Ma evidentemente il suo pieno recepimento e armonizzazione in tutto il Sistema Sanitario Nazionale stenta ancora a decollare.
L’approccio olistico e multidisciplinare della medicina di genere permette poi di mettere in luce altre gravi carenze nel percorso che dovrebbe condurre all’obiettivo di equità e pari opportunità, come accade nel mondo del lavoro. Tutt’oggi una buona parte dei dispositivi di protezione individuale e molti strumenti di lavoro sono progettati rispetto alle caratteristiche morfologiche dei maschi. Così può verificarsi che, per esempio, maschere e occhiali di protezione non siano adeguati al volto delle donne, esponendole a un ragguardevole aumento dei rischi per la salute, che ad oggi vengono fatti risalire solo all’aspetto riproduttivo. A tal proposito Caterina Ledda, professoressa di Medicina Clinica e Sperimentale dell’Università degli Studi di Catania, ha evidenziato la stretta connessione tra medicina del lavoro, pubblic health e global health – lavoro, stile di vita e ambiente – per rimarcare l’importanza delle differenze di genere in alcuni tipi di lavoro e tra gruppi di lavoratori in connessione con il rischio biologico correlato ad alcune professioni. Nello specifico, uomini e donne reagiscono in maniera eterogenea all’esposizione ad alcuni agenti chimici o altrove, nell’agroalimentare, come indicato da Massimo Cecchini, professore di Ingegneria Agraria, Forestale e dei Biosistemi dell’Università degli Studi della Tuscia, sono esposte a più malattie professionali facendo lavori più pesanti rispetto agli uomini che invece utilizzano macchinari. Inoltre, lo standard di sicurezza e prevenzione spesso non solo è maschile ma anche bianco e quindi i rischi si accentuano ulteriormente se la donna (o l’uomo) è afrodiscendente o di origine asiatica.
Impossibile quindi non tenere conto delle differenze morfologiche, così come delle stesse esposizioni al rischio. Tuttavia nel Documento di Valutazione dei Rischi (DVR) queste differenze sono del tutto sottovalutate, tranne per l’aspetto legato al fattore riproduttivo. A parlarne è Annunzia Staffieri, capo processo servizi per l’utenza all’Ispettorato Territoriale del Lavoro di Viterbo, rilevando anche i rischi derivanti dalle differenze sociali, come nel lavoro di cura, e dello stress lavoro correlato, la cui valutazione non è ancora diffusa. Nella redazione del DVR bisogna abbandonare un approccio neutrale e promuovere l’imprescindibilità del total worker health. In questo senso bisogna che cambi anche la mentalità della leadership aziendale, agire sui vettori di formazione-informazione-comunicazione e assimilare definitivamente l’importanza di tutelare le diversità e considerarle un valore aggiunto, perché salute e sicurezza non sono un costo, ma un investimento. Questo è anche l’indirizzo intrapreso da Milo Serraglia, attivista transfemminista, esperto in tutela delle differenze e dei contrasti alle discriminazioni, secondo cui il diritto al lavoro va affrontato con lo sguardo di genere anche per quanto riguarda le persone transgender, sempre più numerose anche tra le file della rappresentanza sindacale. Soprattutto per quanto concerne la salute mentale, grande assente in materia di tutela della salute sui luoghi lavoro: un ambiente di lavoro è sicuro anche per l’approccio che l’azienda ha nei confronti dei suoi lavoratori.
Secondo il secondo Fondo Monetario Internazionale e l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, la parità è un elemento di benessere per l’intera collettività, che non perseguita costa il 5% della crescita economica. Raggiungere l’obiettivo di equità non è un lavoro contro qualcuno, a svantaggio degli uomini per guadagnare un favore alle donne, è un percorso di progresso win-win che produce benefici per tutti. La società è in evoluzione, ma lo è effettivamente solo quando tenga conto di tutti i principi democratici a tutela della dignità dell’essere umano.
Elettra Raffaela Melucci