Il Jobs Act va. Con la firma del presidente della Repubblica Sergio Mattarella sui decreti attuativi, Matteo Renzi ha segnato un altro punto: il contestato piano per il lavoro che abolisce l’articolo 18, procede inarrestabile per la sua strada, malgrado le polemiche e le critiche. Le più brucianti arrivano dall’interno del Pd, dove, oltre alla sinistra, da tempo in rivolta, anche Pierluigi Bersani spara a palle incatenate sul Jobs Act, affermando che “mette il lavoratore in un rapporto di forze pre-anni ‘70” e perciò si pone “fuori dall’ordinamento costituzionale”. La sinistra del partito non perdona il fatto che Renzi abbia tirato dritto, ignorando l’ordine del giorno votato proprio dalla direzione del Pd.
Critica, per motivi analoghi, e’ anche la presidente della Camera Laura Boldrini, che mette in guardia dai rischi di ‘’un uomo solo al comando’’. Forzando sull’approvazione dei licenziamenti collettivi, malgrado il parere contrario di entrambe le commissioni parlamentari, ha affermato la terza carica dello Stato, di fatto il governo espropria le Camere del loro ruolo, con uno strappo istituzionale grave. Intanto, sul fronte sindacale, se e’ scontata la durissima reazione della Cgil, fin dall’inizio in rotta di collisione con Renzi, un po’ meno lo e’ quella della Cisl, che per bocca del suo segretario generale Annamaria Furlan sottolinea a sua volta il ‘’gravissimo errore’’ sui licenziamenti collettivi. Ma i sindacati non si fermano alle dichiarazioni critiche: Maurizio Landini ha annunciato l’intenzione di mettere a punto una proposta di legge di iniziativa popolare per estendere lo statuto dei lavoratori, e si sta ragionando anche di arrivare a referendum abrogativi: “Questo governo – ha sottolineato il leader Fiom- non è stato eletto dal popolo e nessuno ha mai dato a Renzi mandato per cambiare l’articolo 18”.
Ma il Jobs Act, comunque, va: Renzi rintuzza ogni critica con la consueta durezza, e procede senza titubanze. Secondo il ministro Poletti, il Jobs Act dovrebbe portare nel 2015 tra i 100 e i 200 mila occupati in piu’. A parte l’ampia forbice tra le due cifre (100 o 200 mila non e’ che sia una differenza sottile: e’ il doppio o la meta’), sarebbe strano se questo non avvenisse. A parte i primi segnali positivi dall’economia, che danno per finita le recessione con un pur timido segno piu’ davanti al Pil, dopo molti mesi di segni meno, e’ un fatto indiscutibile che al momento, per una impresa, assumere rappresenta un affare d’oro. Gli 8.600 euro di sgravi annuali per un triennio sui contributi, previsti dalla legge di stabilità, infatti, rendono il costo del lavoro italiano tra i più competitivi del mondo occidentale, mentre in parallelo le norme del Jobs act rendono semplicissimo liberarsi di mano d’opera non appena risulti più costosa del sopportabile. Se questo renderà anche l’occupazione stabile, e’ tutto da vedere: probabilmente no. Ma lo scopriremo solo fra tre anni, dopo che saranno scaduti gli sconti sulla contribuzione. E fra tre anni, guarda caso, ci saranno le elezioni: se ci arriveremo con una impennata dell’occupazione, dopo una lunghissima crisi, questo fara’ la differenza. Per chi sta oggi al governo, e ha coraggiosamente “messo la faccia” sul Jobs Act, vale a dire per Matteo Renzi, potrebbe significare una vittoria certa.
I commentatori politici tracciano spesso un parallelo tra Renzi e il Frank Underwood di House of Cards, protagonista della celeberrima serie Tv americana a cui, si dice, il premier si ispira. Considerando il contenuto della terza stagione appena iniziata, c’e’ da crederci: diventato presidente Usa con un colpo di mano politico e senza passare per il voto, Underwood intuisce che la sua unica chance di essere rieletto presidente e’ riassorbire 10 milioni di disoccupati americani. Nasce cosi’ America Works, un ambiziosissimo piano per la piena occupazione dal costo esorbitante di 500 miliardi di dollari. Come reperirli? Semplice: tagliando tutte le altre spese, quelle per assistenza, sanità, welfare. I Democratici sono contrari, ma Underwood tira dritto nonostante la disapprovazione del suo partito, e si presenta alla Nazione in diretta tv per annunciare il suo personale Jobs Act. Lo fa con un discorso sfacciato e durissimo: ‘’il sogno americano ha fallito”, dice ai cittadini americani, “voi lavorate sodo, rispettate le regole, ma non avete un successo garantito, i vostri figli non avranno una vita migliore di quella che avete avuto voi. Oggi, dieci milioni di americani non riescono a trovare lavoro. La colpa e’ dei deleteri programmi di assistenza sociale, di assicurazione e di assistenza medica, del welfare e dei diritti sociali. E’ questo il cuore del problema: i diritti sociali. Permettetemi di essere chiaro: voi non avete diritto a niente. Non avete alcun diritto”.
L’unico obiettivo da perseguire, insiste Underwood, e’ quello della piena occupazione, e per raggiungerlo non importa se occorrerà tagliare stato sociale, diritti, e tutto il resto: “Questo paese esige un’audace e continua sperimentazione. Dobbiamo scegliere una strada e provarla. E se fallisce, ammetterlo onestamente e provarne un’ altra. Se America Works avrà successo, noi reinventeremo il sogno americano, se falliremo lo ammetteremo con onestà e proveremo qualcos’altro. Ma la cosa che conta e’ che dobbiamo insistere a sperimentare, a innovare, a cambiare’’. Sembrano parole di Renzi, e il Jobs Act, del resto, assomiglia parecchio all’AmWork. Nelle prossime puntate di House of Cards sapremo se la ‘’voltabuona’’ di Underwood riuscirà ad affermarsi, anche contro il suo stesso partito. Per sapere se ce la fara’ Renzi, invece, dovremo attendere un poco di piu’, almeno fino al 2018.
Post scriptum: proprio oggi, 6 marzo, il dipartimento del lavoro statunitense ha diffuso i dati sull’andamento dell’occupazione. In febbraio sono stati creati 295 mila posti di lavoro, molto superiori alle attese degli analisti, e la disoccupazione e’ crollata al 5,5%. E’ del resto ormai un anno che l’occupazione americana segna, mese dopo mese, incrementi superiori ai 200 mila posti. E tutto questo senza tagliare la sanità pubblica, il welfare, i diritti, ma anzi incrementandoli. Miracoli di Barack Obama, certo, non di Frank Underwood. E questa e’ una non irrilevante differenza tra fiction e realtà.
Nunzia Penelope