Carige è, in ordine di tempo, una delle ultime situazioni di crisi che in questi anni hanno interessato il settore del credito in Italia. Dopo il via libera al salvataggio della banca genovese lo scorso febbraio, si è aperta la fase che ha portato alla presentazione del nuovo piano industriale fino al possibile ingresso del fondo statunitense Blackrock come azionista di maggioranza. Ne abbiamo parlato con Massimo Masi, segretario generale della Uilca, che ha fatto il punto anche sulle sfide e gli scenari futuri del settore.
Masi partiamo dai fatti più recenti. Lunedì c’è stato un incontro tra i sindacati, l’azienda e i commissari. Che cosa è emerso?
È stato un incontro rassicurante, che ha confermato lo scenario già delineato con il piano industriale, con la conferma dei 1.250 esuberi preventivati. Soprattutto il fondo delle banche ha dato via libera al salvataggio di Carige. In tutto questo permangono sempre dei punti di criticità che devono essere affrontati.
Quali nello specifico?
Prima di tutto c’è la questione delle filiali. Molte verranno chiuse, soprattutto al Sud e nelle isole, e questo potrebbe creare delle problematiche per quanto riguarda la mobilità. Bisogna poi capire quale sarà il ruolo della banca Cesare-Ponti. Noi abbiamo sempre manifestato la nostra opposizione nel trasformare Carige in una “boutique finanziaria”.
Il sindacato ha manifestato anche delle perplessità circa l’ingresso del fondo americano Blackrock.
Noi non abbiamo nulla contro Blackrock, ma è indubbio che la sua presenza nel capitale di Carige apre una questione di carattere finanziario. Infatti sarebbe la prima volta in Italia nella quale un fondo straniero diventa azionista di maggioranza di una banca. Blackrock avrebbe la possibilità di nominare anche l’amministratore delegato. Quello che vorremo evitare è una trasposizione del caso Pernigotti, dove si prende il marchio per poi andar via.
La Uilca ha organizzato per venerdì un convegno a Genova. La permanenza della banca sul territorio è un’altra questione di assoluto rilievo.
Assolutamente sì, soprattutto in una fase come questa, così delicata per Genova e l’intera regione dopo la vicenda del ponte Morandi, la Gronda e il Terzo Valico. La nostra preoccupazione è che la banca continui a elargire i fidi alle imprese locali, per contribuire alla ripresa del territorio.
Carige è l’ultima delle crisi che hanno interessato il settore bancario in questi anni. Qual è il suo stato di salute attuale?
Ci sono ancora delle sacche di crisi, prima fra tutti Monte dei Paschi. Altro tavolo aperto è quello delle popolari, soprattutto nel Mezzogiorno, con la proposta della Banca d’Italia di procedere a una loro riunificazione. Altra questione annosa riguarda il numero elevato delle banche e il loro nanismo, per il quale è stata prospetta la fusione come principale soluzione. Nel prossimo futuro bisognerà capire come gestire anche le eventuali fusioni transfrontaliere. Su questo tema c’è stato, sino a questo momento, un controllo rigido da parte della Bce, ma le cose potrebbero cambiare dopo le elezioni europee e la fine dell’era Draghi a capo della Bce.
In questi anni l’immagine tradizionale degli istituti di credito ha subito numerose trasformazioni. Quali sono gli strumenti messi in campo dal sindacato?
Sempre di più si farà ricorso ad accordi europei tra i vari sindacati e l’azienda, in particolare per quelle banche che hanno delle filiali anche all’estero. Nel febbraio del 2017 abbiamo sottoscritto un accordo, l’unico in Europa, per regolare l’attività di marketing e di vendita dei prodotti finanziari, che ha assunto un ruolo considerevole all’interno dell’economia delle banche. Con questo accordo abbiamo cercato di arginare le situazioni di disagio e stress dei lavoratori, cercando di ricostruire anche la fiducia dei clienti che nel tempo si era logorata.
C’è infine la questione dei grandi colossi digitali, come Amazon e soprattutto Facebook, che sembrano volersi ritagliare uno spazio anche nel settore del credito. In che modo il sindacato può confrontarsi con queste realtà?
Questi soggetti rappresentano sicuramente una sfida per il sindacato. Ma ci sono già molte altre aziende che, pur non avendo la licenza bancaria, erogano fidi. Per combattere queste situazioni, che hanno effetti distorsivi sull’intero settore, così come per far fronte alla possibile entrata dei colossi digitali nel credito, serve una legislazione di supporto che faccia in modo che le aziende che vogliono operare nel nostro ambito siano iscritte all’Abi e che quindi applichino il contratto collettivo di riferimento.
Tommaso Nutarelli