Il segretario generale della Uilca Uil, all’indomani della rottura della trattativa sul rinnovo del contratto nazionale, ribadisce quali sono le posizioni dei sindacati e a quali condizioni questi siano disposti a trattare. O l’Abi abbandona il suo atteggiamento pregiudiziale, dice in questa intervista al Diario, oppure sarà scontro aperto.
Masi, per quale motivo, dopo una così lunga trattativa, si è arrivati alla rottura?
Innanzitutto la trattativa è stata sì lunga, ma non siamo mai entrati nei particolari. Durante il confronto, inoltre, l’Abi ha cambiato più volte strategia: prima imponendoci di scegliere fra occupazione e salario, poi avanzando controproposte inaccettabili, su cinque aree tematiche: l’aumento inflativo; l’abolizione -o il congelamento, non sono stati chiari nemmeno su questo- degli scatti di anzianità; un diverso calcolo del Tfr; una revisione delle aree contrattuali, in particolare dei contratti appaltabili; e infine una revisione degli inquadramenti. Noi abbiamo risposto che siamo disponibili a trattare su tutto, fuorché su questi cinque punti, che per l’Abi, invece, sono altrettante pregiudiziali.
Ma sugli scatti di anzianità e sul Tfr sembrava stesse giungendo a un punto di incontro. Poi cos’è successo?
Le cose sono andate così: l’Abi ci ha assicurato, a fronte dei tagli su scatti e Tfr, una compensazione non in sede di contratto nazionale, bensì in quella di contrattazione aziendale. A seguito di tale proposta, però, non abbiamo ricevuto nessuna garanzia a riguardo. Per questo, abbiamo chiesto all’Abi un documento che mettesse nero su bianco quali fossero le aree su cui dirottare la contrattazione dal piano nazionale a quello aziendale. Ma lo stiamo ancora aspettando. E tenga presente che, nel rinnovo contrattuale precedente, noi accettammo un congelamento, sugli stessi temi, in cambio di una compensazione monetaria. Il problema è che oggi, con l’inflazione così bassa, non siamo più in grado di garantire questa compensazione.
Perché, secondo lei, questo atteggiamento da parte dei banchieri?
La motivazione è molto semplice: ci sono svariate ragioni di divisione all’interno dell’associazione: una fra tante il fatto che non tutte le banche si avvalgono della contrattazione integrativa aziendale. Senza contare, poi, che in sede di contratto nazionale vengono a ricadere le difficoltà di tutte quelle banche, soprattutto le piccole e medie, che a livello aziendale fanno, per così dire, fatica a “imporre” il loro disegno.
Ma le banche non vivono certo un buon periodo, anzi, sono decisamente in crisi. Non crede che si dovrebbe tenerne conto?
Io capisco che le banche siano in difficoltà, ma credo non si possa scaricare tutto il costo della contrattazione sui lavoratori. Su 14 banche controllate dalla Bce, ben 13 hanno avuto costi di rettifiche sui crediti superiori a quelle del personale: dunque, è chiaro che il problema non è il costo del lavoro. Per questo non si può generalizzare: il taglio del costo al personale a tutte le banche è una politica che non sta in piedi, e che i lavoratori non capirebbero. Inoltre, non dimentichiamo che ci sono banche che vanno benissimo e non hanno bisogno di ridurre. Dobbiamo operare diversamente a seconda dei casi specifici.
Il governo, da una parte, accusa i sindacati di non appoggiare le politiche a favore dei giovani, dall’altra, l’Abi, ha definito le vostre posizioni “anacronistiche”. Siete davvero così distanti dalle esigenze del mercato del lavoro moderno?
Sono convinto che, in realtà, stiamo facendo l’esatto opposto di quel che il Governo dice di noi. Perché se tagliassimo l’ultimo automatismo di carriera rimasto, andremmo a colpire proprio i giovani, che in prospettiva andrebbero incontro a un taglio salariale superiore al 20%, una perdita di circa 500 euro l’anno. Per questo motivo non mi sento affatto “anacronistico”.
L’Abi ha dichiarato di essere ancora pronta a un “confronto a tutto campo”. Voi avete minacciato un possibile sciopero generale. Cosa dobbiamo aspettarci?
Abbiamo già chiarito all’Abi che siamo più che disponibili a tornare al tavolo, a patto che si entri nel merito degli argomenti, e che vengano rimosse le pregiudiziali ad oggi esistenti. Lo sciopero generale a gennaio, così come il blocco delle trattative in tutti i gruppi aziendali, sono strumenti che sabbiamo messo in campo a fini persuasivi. Almeno per ora. Abbiamo anche già informato la controparte del fatto che necessitiamo di almeno tre settimane per spiegare ai lavoratori qual è lo stato della situazione attuale; anche perché, nel corso della trattativa, con il peggioramento dell’inflazione, molte cose sono cambiate. Perciò noi la buona volontà ce la stiamo mettendo tutta e per ora non abbiamo proclamato ancora niente. Ma l’Abi deve decidersi a cambiare strategia, altrimenti niente potrà impedire di giungere a uno scontro epocale.
Fabiana Palombo