“Per noi e’ un accordo molto significativo, innanzi tutto per due motivi di base: perché si rivolge a un sistema di imprese diffusissimo e profondamente radicato nel territorio. E perché ricompone un percorso unitario tra Cgil, Cisl e Uil, dopo l’accordo separato del 2008 sugli assetti contrattuali”.
Così Franco Martini, segretario Cgil, nonché responsabile per la confederazione della trattativa che ha portato, dopo otto mesi di confronto, alla firma dell’accordo tra organizzazioni sindacali e artigiane. Al Diario del lavoro, Martini spiega le novità dell’intesa. Che sono di merito ma, come vedremo, anche ‘’politiche’’.
Partiamo da queste ultime: avete firmato con gli Artigiani, con la Confapi, e domani con la Confcommercio. Accordi che si inseriscono nel solco del vostro documento unitario del gennaio scorso. In pratica, avete disegnato il sistema delle nuove relazioni industriali senza la Confindustria?
La Confindustria, com’e’ noto, vuole svuotare il contratto nazionale, per trasferire tutto alla contrattazione di secondo livello. Invece, l’impianto di riforma contrattuale che abbiamo deciso insieme con le organizzazioni dell’artigianato prevede un contratto con funzione nazionale, e poi articola la contrattazione a livello regionale, fino a rispondere anche a esigenze territoriali e più ancorati alla realtà. Quindi si conferma la struttura su più livelli e, questa e’ una novità, anche un intreccio più profondo tra le categorie e le confederazioni, con la bilateralità.
Questi accordi si possono leggere come un pressing nei confronti della Confindustria per indurla a trattare in maniera piu’ aperta col sindacato?
Certamente queste tre intese dimostrano che Confindustria e’ isolata. E, aggiungo, dovrebbero dimostrare al governo che quando dice alle parti sociali ‘’sbrigatevi o interveniamo noi’’, non e’ ai sindacati che deve rivolgersi, ma alla sua amica Confindustria: l’unica che non fa accordi.
E tuttavia, con gli Artigiani avete rinunciato a individuare un indicatore per definire gli aumenti salariali nei contratti nazionali. Come mai?
L’accordo ribadisce che il contratto nazionale ha la funzione di definire i trattamenti retributivi minimi. Ma effettivamente, per definirli non e’ stato individuato un indicatore specifico. Del resto, era impossibile. Agganciarsi all’inflazione, di questi tempi, significava rinunciare a contrattare. Il salario sarà quindi individuato guardando all’andamento di ogni settore e tenendo conto di alcuni indicatori macroeconomici, come il Pil.
La fine ufficiale dell’Ipca?
Al momento, direi proprio di si. L’Ipca era un automatismo che poteva funzionare in una fase economica con dinamiche prevedibili. Oggi, basta un Trump che decide il protezionismo e il quadro dell’economia mondiale cambia drasticamente.
L’attuale sistema contrattuale archivia definitivamente anche il modello del 1993. Se ne sentira’ la mancanza?
Nel 1993 c’era la concertazione, attraverso la quale si definivano a monte le compatibilità economiche, sulla cui base si svolgeva poi la contrattazione. Oggi, 25 anni dopo, e’ un’altra era dell’economia mondiale. Inoltre, quella funzione che veniva riconosciuta alle parti sociali attraverso la concertazione col governo non c’e’ più da tempo.
Non c’e’ il rischio che a ogni rinnovo si litighi sugli indicatori, che ci sia un aumento di conflittualità?
Direi proprio di no. Se vuole una definizione del nuovo indicatore, lo chiamerei ‘’del buon senso’’. Non siamo bolscevichi all’assalto del Palazzo d’ Inverno, viviamo nel mondo reale e sappiamo benissimo come vanno le cose: non avanzeremo richieste che i diversi settori non siano in grado di accettare. Si trova sempre un punto di equilibrio. Anche negli scambi: Confcommercio, per dare gli 85 euro di aumento salariale, ci ha chiesto maggiore flessibilità e noi abbiamo riconosciuto questa esigenza. Per dirla in sintesi: se il principio e’ la redistribuizione della ricchezza prodotta, prima devi produrla, senno’ cosa redistribuisci? Il paese deve innanzi tutto tornare a crescere: parliamo molto di Industria 4.0, ma qui rischiamo Industria 0.4.
Una delle novità dell’accordo con gli artigiani e’ il taglio drastico delle aree contrattuali: da nove a quattro, e cioè manifattura, edilizia, autotrasporto, servizi. Si può immaginare che in futuro saranno quattro anche i contratti?
Non facciamo confusione: aree contrattuali sono una cosa, i contratti un’altra. C’e’ una commissione, appositamente costituita, che entro il 31 dicembre 2017 verificherà quanti dei contratti del settore artigiano oggi esistenti potranno essere accorpati nelle quattro aree.In teoria, potrebbero restare anche solo quattro contratti, ma ovviamente occorre tenere conto delle diversità: nel settore dei servizi, per dire, ci sono i toelettatori per cani come gli informatici. Difficile che un unico contratto possa comprendere le rispettive esigenze.
L’altra novità è l’introduzione della contrattazione aziendale in un settore che non l’ha mai avuta. Come ci siete arrivati?
Si tratta di una scelta dovuta al decreto sulla detassazione dei premi di produttività. E’ gia’ prevista la possibilità di accordi quadro regionali, ma per accedere alla detassazione occorrono comunque intese nel luogo di lavoro. Quindi, per la prima volta, nel settore artigiano apriamo le porte alla dimensione aziendale.
Nunzia Penelope