di Fernando Liuzzi
Alla fine il ringraziamento è arrivato. Anche se con un mese e passa di ritardo. E in circostanze diverse da quelle probabilmente immaginate dal ringraziato. Ovvero da Luca Cordero di Montezemolo. Che però è stato abile a fare, come si suol dire, buon viso a cattivo gioco.
Ma cominciamo dall’inizio. Venerdi’ 1° agosto, a Torino, si riunisce, per l’ultima volta, l’assemblea degli azionisti della vecchia Fiat. All’ordine del giorno il varo della nuova società: Fiat Chrysler Automobiles. Quando vengono resi noti i nomi di coloro che sono stati chiamati a far parte del relativo Consiglio di Amministrazione, si scopre che quello di LCM non fa parte dell’elenco. Ai giornalisti che, in conferenza stampa, chiedono il perché di questa vistosa esclusione, John Elkann risponde in modo, allo stesso tempo, sfuggente e imbarazzato. A farla corta, dice che per questo e quest’altro motivo, tenuto conto delle varie esigenze, eccetera, per Montezemolo non c’era posto. Punto.
Va dato atto a Paolo Griseri, corrispondente da Torino del quotidiano romano La Repubblica, di essere stato uno dei pochi a segnalare la cosa ai propri lettori. E forse l’unico a sottolineare che il comportamento poco cerimonioso del giovane Elkann era stato significativamente diverso da quello tenuto da Marchionne, in maggio, a Detroit. Infatti, quando nella prima decaduta e poi rinata capitale Usa dell’auto, assente Montezemolo, Marchionne in persona aveva presentato al pubblico nordamericano l’attività e i risultati della Ferrari, da parte dell’Amministratore delegato di Fiat non erano mancati ripetuti elogi per il Presidente della stessa Ferrari. Al contrario, adesso dall’erede di casa Agnelli non veniva neppure un grazie verso un uomo che ha avuto non solo un ruolo importante nella storia delle rosse di Maranello, ma anche un ruolo, forse, decisivo nell’assicurare la continuità del rapporto tra la famiglia Agnelli e l’antica Fabbrica italiana automobili Torino. E ciò, in particolare, nel momento delicato in cui la famiglia stessa riuscì a liberarsi dell’Ad Morchio, sospettato di puntare a costruirsi un eccessivo potere personale in casa Fiat, e affidò poi la guida dell’azienda a un ancora semisconosciuto Marchionne.
Sia come sia, nel pomeriggio di quel fatale venerdì da Maranello filtrò la voce, riportata poi dallo stesso Griseri, che il non ingresso di Montezemolo nel vertice di Fca era stato ovviamente concordato, ma che ciò che aveva offeso il Presidente della Ferrari era appunto il mancato pubblico ringraziamento, la mancata resa di un qualche onore a un uomo nei cui confronti non solo Marchionne, ma ancor più il giovane Elkann, avrebbero dovuto avere, come dire, un po’ di gratitudine.
Tutto questo lo ricordiamo non per tratteggiare un’immaginetta oleografica – carica dei buoni sentimenti di un tempo che fu – che mal si attaglierebbe alle dure vicende degli scontri di potere che segnano da sempre il ruvido mondo dell’industria. Ma per segnare una data. Per inquadrare una curva. Se ci sono stati un posto e un momento in cui gli osservatori dell’universo dell’auto hanno avuto in mano sufficienti elementi per capire che la lunga storia dei rapporti quasi familiari tra LCM e casa Agnelli poteva considerarsi finita, sono stati quelli: luogo, il Lingotto; data, 1° agosto 2014. Perché il messaggio implicito nella struttura del CdA di Fiat Chrysler era piuttosto chiaro: la Fiat, con annesso Montezemolo, è il passato. Il futuro si chiama Fca. E in questo futuro, anche se questo non è certo il suo aspetto principale, Montezemolo non ha un posto.
Ma tant’è. L’episodio, dai più, è stato prima sottovalutato e poi trascurato. Anche perché, per qualche settimana, l’attenzione dei fiatologi si è concentrata sulla questione del cosiddetto recesso, ovvero sul rischio che il numero di azioni Fiat possedute dagli azionisti contrari alla fusione con Chrysler, e quindi decisi a esercitare il proprio diritto a cederle entro agosto, fosse talmente alto da annullare la fusione stessa.
Scampato questo pericolo, probabilmente più ipotetico che reale, i suddetti fiatologi sono arrivati relativamente sereni al primo week end di settembre. Ma qui, come se non l’avessero previsto, si sono trovati all’improvviso in un altro scenario e in un’altra data. Luogo: le belle rive del lago di Como ove, nell’amena località di Cernobbio, si tiene l’annuale forum organizzato dallo studio Ambrosetti. Giorno: domenica 7 settembre. Luogo e data che passeranno alla storia come quelli del licenziamento di LCM, se non in diretta televisiva, quanto meno davanti all’occhio impietoso delle telecamere.
L’antefatto immediato del rumoroso sfogo di Marchionne, compiuto quel giorno a margine del suo intervento al forum, sta tutto in una coincidenza sfortunata: proprio quella stessa domenica era in calendario l’attesa gara di Formula 1 al circuito di Monza; gara che si è conclusa con l’ennesima sconfitta del team Ferrari. Una sconfitta che costituisce il contesto in cui l’osservazione fatta da Marchionne, e riferita a Montezemolo, secondo cui “nessuno è indispensabile”, altrimenti quasi banale, ha assunto un significato ultimativo. Anche perché è condita dalla sottolineatura del fatto che sono ormai troppi anni, 6 per la precisione, che il Cavallino rampante non vince un campionato.
Ma, a ben vedere, quello che conta davvero è un altro fatto: la nascita di Fca. Per capirlo, come direbbe Emiliano Mondico, non ci vuole uno scienziato. Basta ascoltare le parole pronunciate dallo stesso Marchionne nella conferenza stampa di riparazione tenuta assieme a Montezemolo, a Maranello, nel pomeriggio di mercoledì 10 settembre. Conferenza nel corso della quale l’ad di Fca ricorda che, finché è esistita una Fiat intesa come casa costruttrice di auto rivolta a un mercato di massa, è stata fatta e mantenuta la scelta di proteggere “l’integrità” della Ferrari, tenendola ben separata dalla casa madre.
Ma, adesso che è nata la nuova multinazionale dell’auto, la succitata Fca, l’esistenza stessa della Ferrari come marchio interno al gruppo è un fatto che non solo arricchisce, ma impreziosisce, il gruppo stesso. Non basta quindi che la Ferrari sia un’impresa che, come oggi accade, ha i conti in ordine, possiede un bel portafoglio ordini e produce non solo delle prestigiose auto di superlusso, ma anche degli utili consistenti. Quel che serve è una Ferrari che torni a vincere, con la sua squadra di auto da corsa, gare e campionati di Formula 1. Una Ferrari che, vincendo e rinnovando la sua fama di winner, di vincente, contribuisca, da un lato, a trainare il valore delle azioni Fca in borse esigenti come quelle di Londra e New York, e, dall’altro, a trainare le vendite dell’intero gruppo, quanto meno, sulle due sponde dell’Atlantico.
In questo schema di ragionamento, se non c’è un posto per LCM nel Consiglio di amministrazione di Fca, non c’è posto per lo stesso LCM neppure al vertice di Ferrari. Anche perché un impegno gravoso come quello di mandare avanti l’ardua impresa ferroviaria di Italo occupa da tempo la mente di Montezemolo con problemi che non hanno nulla a che fare né con quelli dell’auto, né con quelli, più specifici, della Formula 1. E poi perché la sua uscita consente a Marchionne – pur mantenendo l’italianità, e dunque la specificità separata, di Ferrari all’interno della multinazionale Fca – di sottolineare la sua appartenenza al gruppo. Come? Realizzando quella che, ai tempi delle monarchie, si chiamava unione personale. L’amministratore delegato di Fca sarà anche presidente di Ferrari.
Ora trasformare una separazione progettata unilateralmente in un divorzio consensuale non deve essere stata cosa semplice. Verosimilmente, le parole irate pronunciate da Marchionne a Cernobbio sono state anche un modo per forzare una situazione bloccata. La robusta liquidazione spuntata da LCM (27 milioni di euro, ancorché spalmati in un non breve periodo) deve aver contribuito al superamento di un momento difficile. Ma non si vive di solo pane (né di molto companatico). Nel senso che un uomo che, come Montezemolo, è cresciuto avendo come figura di riferimento Gianni Agnelli, non può non dare importanza all’eleganza non solo dell’abbigliamento, ma dei comportamenti. E così, in un giorno solo, prima ha incassato un’algida dichiarazione di ringraziamento e augurio rilasciata da John Elkann. Ma poi, e soprattutto, si è cavato la soddisfazione di tenere una conferenza stampa congiunta con Marchionne, e di farlo nel suo regno, ovvero proprio a Maranello. Alla fine, la storia che ci è stata raccontata è quella di un Montezemolo che ha deciso, spontaneamente, di dare le sue dimissioni da presidente della Ferrari. Mentre il rude, nordamericano Marchionne ha ripetuto, a beneficio dei media italiani, la scena già interpretata a Detroit. Onorando Montezemolo come il leader che ha portato molte volte le rosse prime al traguardo. E, per ciò stesso, offrendo della Ferrari quell’immagine vincente cui, evidentemente, tiene molto.
@Fernando_Liuzzi