Dopo la decisione del tribunale di Firenze di dichiarare il fallimento dello storico marchio Richard Ginori, si è aperto un dibattito su come sia stato possibile che uno dei simboli del made in Italy sia potuto finire in bancarotta. Il diario del lavoro ne ha parlato con Bernardo Marasco, segretario generale della Filctem Cgil di Firenze.
Marasco, come è potuta accadere una cosa del genere?
L’azienda, nonostante abbia un marchio ancora importantissimo e venda parecchio, perde da dieci anni. Infatti, quando aumenta la produzione aumentano i costi senza che salgano i profitti.
Come è possibile?
I proprietari che si sono susseguiti negli anni non sono mai stati degli industriali, ma dei fondi immobiliari o finanziari. Di fatto non si sono mai interessati di politica industriale e non hanno mai investito. Il risultato è che si produce con forni del 1954 e questo fa triplicare tutti i costi.
Quindi il problema sono le inefficienze?
Assolutamente sì. Basta pensare che l’azienda perde un milione di euro al giorno.
Ma possibile che un fondo finanziario abbia tenuto per così tanto tempo un’azienda che era perennemente in perdita?
Si tratta di una situazione veramente strana e misteriosa. Se ne sono dette tante, per esempio che i proprietari fossero più interessati ai terreni dove sorge l’azienda che hanno un grande valore in caso la fabbrica chiudesse e ci si potesse costruire sopra.
Cosa è accaduto negli ultimi mesi?
Quando i debiti sono diventati insostenibili è stato nominato un collegio di liquidatori che ha provato a fare un concordato con i creditori. Per far ciò si era proceduto su due diversi piani. Si era deciso di cedere allo stato, che avrebbe annullato 23 milioni di euro di debiti, il museo dell’azienda. Poi si è deciso di vendere l’impresa. Tra i gruppi interessati era stata selezionato la cordata tra l’azienda americana Lenox e l’italo-runena Appulum.
Cosa ha proposto la cordata prescelta?
Gli americani avrebbero comprato il marchio, mentre l’azienda italo-rumena avrebbe rilevato la fabbrica e le maestranze producendo in esclusiva per la Richard Ginori. Inoltre, la cordata ha offerto il doppio dell’altra azienda interessata, la Sambonet.
Ma non c’era il rischio che l’azienda americana si tenesse il marchio e producesse all’estero?
Indubbiamente questa era una criticità che come sindacato abbiamo più volte messo in luce.
Cosa proponeva l’altra azienda, la Sambonet?
Il piano prevedeva di comprare tutti gli asset senza dividerli, ma al contrario dell’altra cordata avrebbe dimezzato l’occupazione. Inoltre, l’offerta economica per rilevare la Ginori era la metà di quella dell’altro gruppo. Il progetto della Sambonet aveva prospettive industriali sicuramente interessanti perché è un’azienda italiana del settore che voleva mantenere l’unità degli asset, ma sul fronte degli occupati l’offerta fatta era inaccettabile.
Perché poi si è arrivati comunque al fallimento?
Perché la Ginori ha scritto ai curatori fallimentari che le entrate previste dalla vendita dell’azienda e dalla cessione del museo allo stato non erano così certe. Il tribunale ha quindi ritenuto che non fosse possibile arrivare a un concordato con i creditori e ha dichiarato il fallimento.
Quindi si ricomincia tutto da capo?
Sì, ora è tutto in mano ai curatori fallimentari.
Ora che l’azienda è fallita ci sarà più attenzione al progetto industriale e meno all’offerta economica dei possibili acquirenti?
Dipende dai giudici. Possono privilegiare la continuità produttiva o le ragioni dei creditori.
La politica si sta muovendo?
Il ministero e la regione toscana e la città di Sesto Fiorentino stanno facendo la loro parte. Per esempio con l’acquisto del museo.
Le istituzioni possono aiutare l’eventuale gruppo interessato a mantenere la produzione a Sesto Fiorentino costruendo infrastrutture o con altre agevolazioni?
Certamente sì, l’importante è trovare qualcuno con un progetto industriale solido.
Quali investimenti la nuova proprietà dovrebbe fare?
Costruire una nuova fabbrica che permetta di essere competitivi sul fronte dei costi.
Cosa chiedete alle aziende che si presenteranno alla nuova gara che il tribunale farà?
Di mantenere l’unità degli asset produttivi, di avere un progetto industriale solido e di salvaguardare l’occupazione.
Luca