Che cosa dobbiamo pensare? Forse che la manovra di bilancio e, in generale, la politica del governo di ‘’questi qui’’ sia tanto condivisa dalle confederazioni sindacali da non meritare – non diciamo – uno sciopero generale o, in subordine, una grande manifestazione nazionale, ma neppure un Attivo di delegati che non lo si è mai negato a nessuno? Sono scesi in piazza i cittadini all’invito delle ‘’madamine’’ torinesi; lo faranno nei prossimi giorni gli imprenditori sia per rivendicare nuovi investimenti e per difendere le grandi opere pubbliche minacciate dalla subcultura della ‘’decrescita felice’’ e dall’Araba Fenice del rapporto costi/ricavi.
Il presidente dell’Assolombarda Carlo Bonomi ha pronunciato un memorabile discorso contro la maggioranza ed il governo giallo-verde e persino il cauto Vincenzo Boccia si è lasciato scappare qualche parola di critica. Dalle sedi dei sindacati arriva, invece, un assordante silenzio, interrotto soltanto da qualche comunicato che solo Il Diario del Lavoro prende meritoriamente in considerazione. Il governo tira diritto per la sua strada senza darsi la minima cura di ricevere le delegazioni sindacali che vorrebbero, almeno, essere sentite. Eppure, a parte le questioni di politica economica alla ricerca di scelte di espansione inesistenti, nella manovra non c’è nulla a favore dei lavoratori.
Sulle pensioni Cgil, Cisl e Uil hanno presentato delle richieste più demagogiche di quelle fatte circolare dall’esecutivo. E si trovano davanti alla costituzione di un fondo che stanzia risorse coralmente considerate inadeguate, senza che vi sia uno straccio d’indicazione sulla possibile normativa. Il governo ha annunciato che – se sarà in grado – presenterà i relativi emendamenti al Senato. La medesima sorte è toccata al reddito e alla pensione di cittadinanza. Forse Luigi Di Maio, per sviluppare l’articolato, si sta confidando con la Sibilla cumana, che peraltro è sua compaesana. Anche per quanto riguarda le tasse, il governo ha messo in campo una misura che favorirà la trasformazione dei rapporti di lavoro in collaborazioni con partita Iva, visto che sul piano fiscale l’operazione sarà conveniente sia per il datore/committente che per il lavoratore.
Ma c’è un’altra questione che meriterebbe di essere approfondita. Basterebbe leggere ciò che ha scritto l’Ufficio parlamentare di bilancio (UPB). Con le misure fiscali previste si allargherà la sperequazione tra il carico sugli autonomi e quello sui dipendenti. Il differenziale di carico fiscale a parità di capacità contributiva è molto ampio e crescente con il reddito (ad esempio, un lavoratore dipendente con 40mila euro di reddito pagherà circa 5mila euro di imposte sul reddito in più di un autonomo in regime forfettario; il differenziale passerà a circa 11,5mila euro in corrispondenza di un imponibile di 80mila euro). ‘’La coesistenza di questi due regimi (ordinario e forfettario, ndr) – conclude l’UPB – non appare coerente con i principi di equità orizzontale del prelievo’’. Da che cosa deriva l’abdicazione dal proprio ruolo da parte delle grandi confederazioni? Cgil e Cisl sono impegnate nei loro congressi, è vero. Ma in altre circostanze questa importante attività non ha mai impedito momenti di mobilitazione. Probabilmente la causa è più grave e profonda. I gruppi dirigenti sindacali non sono dei ‘’calabrache’’, ma hanno il polso della situazione; sanno che gran parte di quel 60% attribuito dai sondaggi ai partiti della maggioranza, è composto da lavoratori, magari sindacalizzati.
È difficile condurre battaglie complesse quando è operante una ‘’quinta colonna’’ nemica nei propri ranghi. È un po’ la storia di quel soldato che riferisce al proprio comandate di aver fatto prigionieri ben 50 militari nemici. L’ufficiale si complimenta e gli ordina di condurli al comando. Questo risponde che vorrebbe farlo, ma loro non gli permettono di venire.
Giuliano Cazzola