Il diario del lavoro ha sentito il segretario generale della Filt Cgil, Stefano Malorgio, per ripercorrere insieme la strada che ha portato il sindacato alla firma del recente accordo con Amazon sulle relazioni industriali. Per Malorgio, il percorso è stato lungo e costellato di ostacoli, ma il risultato è stato molto soddisfacente; un giudizio, ci tiene a sottolineare, che non esprime spesso. Ma le battaglie non sono ancora finite.
Malorgio, di recente avete firmato l’accordo sulle relazioni industriali con Amazon, ma partiamo dall’inizio, come è incominciato il vostro rapporto con Amazon e su una realtà lavorativa che all’epoca era perlopiù fuori dal vostro campo visivo?
Ormai 6 anni fa circa abbiamo iniziato in alcuni territori d’Italia a incontrare dei lavoratori, i famosi driver, che lavoravano in aziende in appalto per Amazon. Quindi non direttamente lavoratori di Amazon. All’inizio la situazione era complicata, erano persone che in qualche modo avevano timore di essere avvicinati dal sindacato. Da lì nasce la sindacalizzazione di tutte le aziende che lavorano in appalto per Amazon. Piano piano queste realtà si organizzano, entrano in una associazione datoriale, che è Assoespressi, e grazie a questo troviamo la forza contrattuale.
Poi come avete proseguito?
Attraverso di loro siamo riusciti ad entrare in contatto con i lavoratori diretti di Amazon, che nel frattempo nei vari impianti che si insediano velocemente in giro per l’Italia, al netto di Castel San Giovanni a Piacenza e di un call center credo in Sardegna, inizia ad applicare il contratto di merci e logistica. E quindi su alcuni territori in giro per l’Italia nascono una serie di interlocuzioni con Amazon per provare a costruire insieme qualcosa.
Che cosa chiedevate?
Inizialmente di intervenire a regolare i rapporti e gli accordi dentro le aziende che lavorano in appalto, dato che queste aziende erano e sono quasi mono-committenza, e poi piano piano si sono intersecate queste relazioni.
E poi?
Successivamente queste realtà crescono. Nel corso del tempo il numero di adesioni aumenta nel sindacato dei trasporti, il numero di impianti di Amazon cresce vertiginosamente, nascono anche le prime mobilitazioni dei lavoratori, finché non si arriva alla scorsa primavera al primo sciopero nazionale di Amazon.
Con lo sciopero avevate presentato una piattaforma con una serie di richieste
Si, abbiamo preparato una piattaforma per Amazon, che si rivolgeva sia all’impresa committente che per alle imprese appaltanti. In particolare, chiedevamo ad Amazon di aprire il sistema di relazioni per verificare i carichi di lavoro, riconoscere il sindacato, riconoscere la rappresentanza ai lavoratori dentro l’impresa, ragionare su tutto il tema che riguarda la sicurezza. Mentre alle aziende appaltanti chiedevamo invece di ragionare su orari di lavoro e premi di risultato, perché con queste imprese c’era già un sistema di relazioni industriali più avanzato.
Lo sciopero era andato bene?
Si, nel senso che nel giorno dello sciopero si blocca oggettivamente tutto, e ha avuto una grande rilevanza mediatica, direi mondiale viste le pubblicazioni in vari quotidiani internazionali. A seguito di questo il sindacato prepara due lettere, una di queste viene indirizzata al Governo, dove abbiamo evidenziato un punto semplice: guardate che il delicato rapporto tra sindacati e Amazon è un fatto che non riguarda solo il sindacato ma anche il Paese, perché è evidente che la crescita occupazionale è importante quindi è giusto che ci sia un equilibrio nei rapporti. Tornando ai mesi scorsi. Veniamo convocati dal ministro Orlando che realizza un atto insolito, anzi irrituale. Amazon poteva rifiutare l’invito del ministro di sedersi al tavolo ma non lo ha fatto.
In che senso irrituale?
Orlando ha convocato tutti, spiegando che l’interesse del governo è che la vertenza Amazon trovi una conclusione con un accordo entro tre mesi.
Perché secondo lei il ministro si spinse a tanto?
Perché penso che arrivò chiaro il messaggio che avevamo lanciato durante lo sciopero, cioè che da un sistema di relazioni corretto con Amazon passa non solo la difesa e la tutela del lavoro e della qualità del lavoro ma anche la difesa dell’intero sistema contrattuale italiano.
Cosa accadde dopo quell’incontro?
Ci siamo messi a lavorare, non con Amazon Italia che comprendeva benissimo i motivi e le necessità di arrivare ad un accordo, ma con l’insieme del mondo Amazon, che all’inizio non capiva perché mai in Italia di doveva aprire questa contrattazione, questo tipo rapporto. Per loro bastava e avanzava rispettare leggi e norme. Insomma, è sempre difficile spiegare a una grande multinazionale il perché non bastino le leggi e invece sia necessario il riconoscimento del sindacato, la rappresentanza collettiva dei lavoratori, perché debba esistere una interlocuzione per evitare i conflitti.
Perché è difficile spiegare questi concetti a una multinazionale?
Uno dei tanti problemi è che queste multinazionali non operano mai in piena liberà ma chiedono spesso come agire alla casa madre, che a volte è negli Stati Uniti, altre volte in Germania. La casa madre ha una propria cultura e spesso il sindacato stesso non è compreso in quella cultura. Tornando al nostro caso, Amazon ha una casa madre in cui i lavoratori americani si sono dovuti esprimere tramite referendum per dire se volevano un sindacato o meno. Insomma, non è semplice spiegare la cultura sindacale, industriale e relazionale del nostro paese a queste realtà aziendali. Questo fatto è un ostacolo mica da ridere. Bisogna comprendere che non è solo una questione di volontà o non volontà. Spesso esiste anche un ostacolo culturale.
In effetti si potrebbe dire che mentre da noi il riconoscimento tra le parti è la conditio sine qua non per sedersi a un tavolo di trattativa, per loro era un aspetto quasi alieno.
Si, per loro filosofia il rapporto con il lavoratore, se si rispettano le leggi, lo tengono direttamente loro. E poi non ragiona in questo modo solo Amazon, anche con Ryanair abbiamo ancora un tema aperto.
E arriviamo immagino ai giorni nostri
Si, perché dopo qualche tempo questi concetti maturano nel mondo Amazon e questo accordo è il compimento di un percorso che è partito sei anni fa. Questo protocollo attenzione non risolve i problemi ma spiega come risolverli insieme quando si presentano. Inoltre, tenga conto che Amazon per la prima vota in Europa riconosce un sistema di relazioni.
Con Assoespressi a che punto siete?
Manca ancora l’accordo con le aziende committenti su cui ci stiamo lavorando. Il confronto è su temi che sono squisitamente sindacali e quindi troveranno una composizione sindacale.
Leggendo l’accordo siete andati oltre il riconoscimento delle parti. Ad esempio, un punto dell’accordo prevede che insieme l’azienda vedrete le strategie di sviluppo aziendale e di investimento, in pratica il sogno di qualsiasi sindacato.
Qui c’è un punto di relazioni industriali avanzato, non dico di compartecipazione perché non sarebbe corretto definirlo in questo modo, semmai rientra nel mondo delle verifiche congiunte, un confronto anche sulle strategie.
Quindi qual è il vero l’obbiettivo del sindacato nel definire queste modalità di confronto?
Quando in futuro si aprirà un impianto come questi ultimi, potremmo confrontarci sul dire chi si assume, come, che condizioni si danno, oppure evitare che una trattativa avvenga soltanto con quel territorio ma poter riportare il tutto su un piano nazionale e di ampio respiro e di qualità dell’occupazione. Saranno tanti i giovani che andranno a lavorare ed è utile che abbiamo un sistema di relazioni, di protezione, di tutela, di interlocuzione che sia corretto. Devo dire, e non lo dico quasi mai, sono molto soddisfatto di tutto il lavoro che è stato fatto.
Quindi giocare d’anticipo nel regolare le future trattative e così prevenire il conflitto sociale.
Ci proviamo, noi prima avevamo solo il conflitto per parlare ma da domani, prima di arrivare al conflitto, sono previsti una serie di confronti e impegni reciproci. Mica poco.
Insomma, si vis pacem, para bellum
Ahah, esatto.
Emanuele Ghiani