Tripudio bipartisan della stampa antirenziana, di destra e di sinistra, alla pubblicazione dei dati trimestrali dell’Osservatorio INPS sulla precarietà:
“Il Jobs Act è tutto un flop: in 7 mesi giù le assunzioni” (Il Manifesto)
“Anche l’Inps certifica il fallimento del Jobs Act” (Il Tempo)
“Senza la droga di governo persi 76.000 posti” (La Verità)
e via così.
Il messaggio che viene comunicato è che l’occupazione diminuisce. Alla base di questi titoli si fa fatica a capire se ci sia più ignoranza (incapacità di comprendere i dati e i testi, problema peraltro diffusissimo in Italia come testimoniano le ricerche annuali PISA-OCSE sul grado di preparazione degli studenti) o più malafede (spacciare menzogne per verità, come sperimentato con successo dai tabloid inglesi con la Brexit).
Infatti l’occupazione non diminuisce, ma aumenta: in numeri assoluti dal gennaio 2014 al Luglio 2016 i lavoratori con contratto di lavoro subordinato sono aumentati di 600.000 unità.
Nello stesso periodo la variazione netta tra nuovi rapporti di lavoro e rapporti cessati è sempre stata positiva, e lo è anche per il primo semestre 2016: 804.000, di cui 76.000 a tempo indeterminato (vedi tab. 3 dell’Osservatorio INPS sul precariato, la stessa fonte “consultata” dai nostri tabloid).
Ciò che accade è cosa ben diversa dal calo dell’occupazione: è che l’occupazione aumenta a velocità inferiore a quanto ha fatto nel 2015.
Per capirci: i nuovi rapporti di lavoro avviati nel gennaio-luglio 2016 sono stati 3.428.000 contro 3.809.000 dello stesso periodo 2015, e le trasformazioni in contratto a tempo indeterminato 229.000 contro 329.000 (tab. 1 del medesimo infame Osservatorio).
Come mai rallenta la crescita dell’occupazione? Essenzialmente per tre ragioni, due delle quali previste e inevitabili:
1) nel 2015 le imprese che avevano intenzione di stabilizzare i contratti a tempo indeterminato lo hanno fatto, approfittando anche del bonus contributivo. In questo modo hanno in buona parte prosciugato lo stock dei contratti da trasformare e adesso le trasformazioni sono di meno. Infatti lo stock (per fortuna!) non si ricostituisce alla stessa velocità con la quale si svuota.
2) come il sindacato e le imprese hanno sempre detto, uno dei principali ostacoli all’occupazione (e tanto più a quella stabile) è il peso del cuneo fiscale contributivo. Con la forte decontribuzione attuata dal Governo per il 2015 le assunzioni a tempo indeterminato hanno decollato. Riducendosi la decontribuzione, e quindi ridimensionandosi il taglio al costo del lavoro, il tasso di aumento delle assunzioni diminuisce. Ma guarda un po’! Come volevasi dimostrare: avevamo ragione noi, direbbe un sindacalista che volesse fare il proprio mestiere e non quello di castigarenzi. Particolarmente significativo in proposito il titolo de “La Verità (?!?)”: senza la droga di governo persi 76.000 posti. E qui non riesci a distinguere se prevale l’ignorantaggine o la malafede: 76.000 sono i nuovi posti di lavoro a tempo indeterminato al netto di quelli cessati! Almeno imparare a leggere le tabelle…
C’è poi una terza ragione, nota anche se non inevitabile: l’occupazione non si può creare per legge (anche se nel Piano del Lavoro della CGIL pare far capolino questa convinzione, ma ne parleremo un’altra volta). Una buona riforma del Mercato del Lavoro può eliminare gli ostacoli che disincentivano le imprese dall’assumere; può creare le condizioni per cui le imprese siano più propense a tradurre le variazioni positive del ciclo economico in nuove assunzioni. Questo doveva fare e ha fatto il Jobs Act.