“È un momento molto doloroso della mia vita che rivela fragilità esistenziali irrisolte”. Questa frase di Luca Morisi, 47 anni, guru mediatico al quale Matteo Salvini deve la popolarità, costituisce l’unico punto davvero interessante della penosa vicenda. Tralasciamo l’ineludibile indagine giudiziaria, le strumentali polemiche politiche, le vampiresche trasmissioni televisive. Stucchevole discutere di giustizia ad orologeria o di possibili effetti sul voto di domenica. “Una schifezza mediatica”, accusa Matteo Salvini. Sarebbe troppo facile replicare cose tipo “chi la fa l’aspetti”, “chi di spada ferisce, di spada perisce”, “non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te”.
Per gli antichi greci, la Nemesi rappresentava la vendetta degli dèi nei confronti di coloro che andavano fuori misura, mettendo a repentaglio il normale equilibrio. La Bestia, la macchina propagandista plasmata da Morisi, potrebbe avere questi connotati mitologici. Ma non siamo corifei dell’Olimpo. E nemmeno moralisti come Dante Alighieri e i suoi contrappassi. No, la questione è ben più profonda e tocca la sfera universale dell’umana debolezza. E, al contempo, dell’ipocrisia che la maschera e cerca di nasconderla.
Sigmund Freud ha ben spiegato il meccanismo che spinge ad aumentare, in maniera proporzionale alle paure soggettive, la riprovazione nei confronti di chi esce dal presunto seminato. Più reprimiamo le pulsioni interne, incapaci di elaborarle, più odiamo chi le porta in superficie.
Un esempio banalissimo riguarda il traffico. Se vediamo qualcuno compiere un’infrazione, magari non grave, vorremmo inseguirlo e punirlo, sostituendoci alla polizia stradale. È un modo inconscio per blindare ogni intima spinta disgregatrice che attenta al nostro equilibrio. Sappiamo che potremmo fare come lui, inconsapevolmente lo invidiamo perché è riuscito dove noi nemmeno osiamo e invochiamo pene severe che impediscano ogni tentazione.
Ma anche se non si vuole dar credito al sottile gioco tra Es, Io e SuperIo, appare indubbio che l’aggressività sia sempre figlia dell’insicurezza. L’omofobia funziona in questo modo. Chi più grida contro la diversità, più rafforza un’immagine identitaria di normalità evidentemente vacillante. Gli studi di Wilhelm Reich sulla psicologia di massa evidenziano quanto la repressione sessuale abbia influito, e ancora influisca, sulla nascita e diffusione di movimenti reazionari. La ricerca del nemico esterno, dall’antisemitismo alla xenofobia, risponde a questa logica.
E allora torniamo alla fragilità, che tutti ci accomuna. Capirlo, riconoscerlo, accettarlo significa vedere gli altri riflessi nello stesso specchio. Negarlo, vuol dire una perenne ricerca di alibi. E di capri espiatori. “Chi è senza peccato scagli la prima pietra”, ammoniva il Cristo difendendo Maria Maddalena.
Eppure, proprio padri della Chiesa come Agostino e Tommaso, diventati poi santi, teorizzavano che si può peccare, ma in segreto. Va bene l’amante se serve a preservare il vincolo del matrimonio. E la prostituzione, scrivevano, è la cloaca del palazzo, toglila e il palazzo ne sarà infettato, ogni cosa verrà sconvolta dalla libidine.
Ecco la maschera dell’ipocrisia. Che rende poco credibile anche l’ostentata pietà. Siamo talmente ripiegati su noi stessi da godere segretamente delle altrui difficoltà. Le Rochefoucauld ha detto che persino nella sventura del migliore amico c’è qualcosa che non ci spiace”.
Morisi non ha accettato la sua fragilità. L’ha nascosta dietro la protervia di Matteo Salvini. Al di là delle violazioni di legge, è questo il vero reato che ha compiuto nei propri confronti.
Marco Cianca