Adesso molti dicono che se nella coalizione ci fosse stato anche Matteo Renzi, il centrosinistra avrebbe vinto le elezioni in Liguria. Chissà se è vero. Chissà se invece non sarebbero stati di più gli elettori che non avrebbero votato l’ex Campo largo proprio perché non sopportano il leader di Italia viva, le sue giravolte politiche, i suoi rapporti milionari con l’Arabia Saudita di bin Salman, la sua scarsa (per usare un eufemismo) affidabilità, vedi per esempio il suo dietrofront sul governo giallo-rosso che fece cadere dopo averlo fatto nascere per evitare le elezioni anticipate e un probabile trionfo di Matteo Salvini che all’epoca (siamo nel 2019) correva come un treno e pretendeva i “pieni poteri”.
Non lo sapremo mai. Sicuramente sappiamo che la devastante sconfitta dei Cinquestelle è stata la causa principale della vittoria della destra capeggiata dal sindaco di Genova Marco Bucci. Anche loro, come Renzi, e anche di più visto che di solito raccolgono più voti dell’ex premier, si sono ormai dimostrati inaffidabili. Anzi, dannosi. Soprattutto, nessuno capisce più – neanche loro, infatti molti si sono astenuti in Liguria – quale sia il senso della loro esistenza politica. Dilaniati da uno scontro di puro potere tra il fondatore Beppe Grillo e l’attuale leader Giuseppe Conte, entrambi incapaci di indicare una prospettiva, un progetto, appunto un senso alla loro vita. Meglio così, si potrebbe dire, meglio cioè se la lunga parentesi di questo Movimento si chiuda lasciando liberi dirigenti ed elettori di andare dove il cuore e la ragione li porti: a destra o a sinistra, al centro o a casa.
Oppure, invece, sarebbe auspicabile che quel che resta dei Cinquestelle si decida una volta per tutte a scegliere da che parte stare e poi a starci in modo serio e con un’idea in testa che non sia più quella originaria, cioè lo sfascio per lo sfascio. Vedremo cosa accadrà all’assemblea costituente prevista tra qualche settimana, vedremo cioè se il centrosinistra italiano potrà contare su di loro oppure se dovrà sopportare ancora per molto di dover fare i conti con Conte (scusate il gioco di parole), una scheggia impazzita che ormai sta giocando una partita tutta personale, con l’ambizione di tornare a palazzo Chigi. Ambizione che resterà tale per tutta la sua vita politica.
Non c’è molto tempo per darsi una regolata, tra poco si vota in Umbria e in Emilia Romagna e poi si rivoterà a Genova per eleggere il nuovo sindaco visto che Bucci dovrà dimettersi per andare a governare la Regione. E’ evidente che il centrosinistra non può permettersi altre sconfitte, in particolare la leader del Pd dovrà fare di tutto per vincere. Convincendo o costringendo gli alleati a mettersi in riga dietro di lei, visto che il risultato ligure dice che il Partito democratico è di gran lunga la prima forza politica dell’opposizione e quindi ha il diritto e il dovere di dettare la linea e guidare la marcia. Anche scontando i malumori degli altri, compresi i cosiddetti riformisti del suo partito che sono già partiti lancia in resta accusandola di aver puntato troppo sull’alleanza con i Cinquestelle e aver trascurato le forze centriste, le quali forze più che altro sono debolezze visto i pochissimi voti che raccolgono sia nei sondaggi sia nelle urne.
Il compito di Elly Schlein si rivela dunque più che arduo, non sarà affatto facile per lei decidere e poi imporre la sua linea, quale che sia. Resterà quella dell’unità con tutte le forze di opposizione, che però non fanno altro che litigare e dividersi tra loro, oppure la segretaria dem riuscirà a inventarsi qualcos’altro. Per esempio, potrebbe lanciare un ultimatum agli altri, esterni e interni al suo partito: o si fa come dico io oppure ognuno va per conto suo e chi ha più filo fa la tela. E il filo attualmente ce l’ha lei. Poi se qualcuno vorrà spezzare quel filo, se ne assumerà tutta la responsabilità, in particolare quella di consentire alla destra di vincere ancora e assicurarsi la permanenza al governo per altri tre anni. Con tutti i danni che questo comporta e che in parte abbiamo già potuto “apprezzare” , dalla legge di bilancio, alla sanità pubblica che non ha i mezzi di sussistenza, dalla rete di spioni capeggiata Enrico Pazzali, uomo della destra, alla follia albanese fino al decreto sui “paesi sicuri” non a caso impugnato dai giudici di Bologna che si sono appellati alla Corte di giustizia europea: “Con questi criteri anche la Germania di Hitler sarebbe stato considerato un paese sicuro…”.
Riccardo Barenghi