Lo aveva annunciato il 2 giugno dello scorso anno: “Adesso lo Stato siamo noi”. Una schizofrenica confusione tra il Re Sole e Piero Calamandrei. La stessa che il capo politico dei Cinque Stelle dimostra tra la Vandea e la Montagna. E’ alleato e difende il leader di un partito che declina in chiave identitaria valori più in sintonia con la rivolta controrivoluzionaria del 1793 che con il giuramento della Pallacorda e con i giacobini. Ma nel contempo, il sempre sorridente Gigi, declama i principi della Convenzione, con evidente simpatia per il comitato di salute pubblica. E mentre i suoi senatori negano, dopo un burlesco e patetico pronunciamento on line, l’autorizzazione a procedere contro Matteo Salvini, il gesto delle manette rivolto ai parlamentari del Pd per gli arresti domiciliari comminati ai genitori dell’altro Matteo, Renzi, rivela la smania giustizialista degli aspiranti piccoli Robespierre.
Tutto e il contrario di tutto. Un vero guazzabuglio ideologico, la cui unica coerenza sembra quella di preservare il ruolo conquistato. Certo, siamo di nuovo al confronto-scontro tra la magistratura e la politica, con i renziani che parlano di giustizia ad orologeria e gridano al complotto scimmiottando Silvio Berlusconi. Ma se in questo caso si tratta di una bancarotta fraudolenta, con le colpe dei padri che, nolenti o volenti, ricadono sui figli, la vicenda della nave Diciotti ha ben altra rilevanza costituzionale. In pratica bisognerebbe capire se aver agito in nome dello Stato sia un’esimente in caso di eventuali reati.
I giudici di Catania imputano al titolare degli Interni di aver abusato dei suoi poteri privando della libertà personale 177 immigrati di varie nazionalità, fatto aggravato, a loro dire, dall’essere stato commesso da un pubblico ufficiale, anche a danno di minori. L’obbligo di salvare vite in mare, spiegano le carte dell’accusa, non ammette deroghe mentre il ministro ha ritenuto di dare seguito ad un proprio convincimento politico senza che vi fosse nessun pericolo per l’ordine pubblico.
“L’ho fatto per l’interesse degli italiani”, continua a ripetere Salvini, dichiarando di essere pronto a reiterare la decisione e ribadendo i successi ottenuti nel contrasto all’immigrazione. Non gli difettano certo coerenza e fermezza. Può anche essere che la sua posizione sia corretta e che un eventuale processo si sarebbe concluso con l’assoluzione. Ma a suscitare sconcerto sono le capriole dei Cinquestelle.
La partita si gioca sul contrasto tra interesse preminente e diritti individuali, tra presunto bene collettivo e i dettati fondativi della nostra Carta. La libertà personale è sempre inviolabile, ecco Calamandrei, anche di fronte alla ragion di Stato, alibi dietro il quale i regimi democratici, di nascosto, e le peggiori dittature, in modo aperto e violento, eliminano potenziali ostacoli. In nome del potere costituito, ecco Luigi XIV, tutto diventa lecito. Di Maio ha scelto e ha ceduto l’anima egualitaria del movimento alla nuova destra, plebiscitaria e cesarista. Uno vale uno suona come una moneta falsa quando, per dirla con George Orwell, qualcuno è più uguale degli altri.
E il disastro economico incombe come l’ombra di Banco.
Marco Cianca