Luciano Scalia non è più con noi. L’altra notte è spirato in pace. Era malato da tempo, alla fine un tumore si era aggiunto ai suoi malanni ed è stata la fine. Se ne va un uomo di grande spessore, dalla poliedrica personalità, capace di grandi scelte, molto coraggiose, che ha voluto vivere la sua vita senza compromessi, lottando fino alla fine perché era quello che gli piaceva, non lasciarsi andare, resistere, come facevano i sindacalisti di una volta, che volevano, e spesso ci riuscivano, resistere un minuto più del padrone.
Luciano Scalia era un sindacalista di forte tempra. Dopo un periodo giovanile di grande impegno politico, era il leader dei Katanga di Roma, aveva scelto la militanza sindacale. Una scelta abbastanza diffusa in quegli anni di forte impegno politico. Era figlio di due grandi comunisti, la più nota la madre, Miriam Mafai, giornalista di assalto anche in vecchiaia, ma il padre non era di meno. Sarebbe stato normale che Luciano, fatta la scelta di lavorare nel sindacato, andasse in Cgil, invece optò per la Cisl, naturalmente la Fim, il grande sindacato dei metalmeccanici. Un po’ perché era il sindacato di Pierre Carniti, che sapeva infiammare gli animi dei giovani di allora, che fossero studenti o operai, un po’ perché tantissimi esponenti dei gruppi, allora si chiamavano extraparlamentari, sceglievano proprio la Cisl e in particolare la Fim per andare a difendere i lavoratori.
Fu un ottimo sindacalista, fece la sua carriera come tutti, dalla gavetta in avanti. Era bravo e seppe emergere. Quando Raffaele Morese era il segretario generale c’erano tanti giovani che scalpitavano per sostituirlo, tra gli altri due cavalli di razza, Pier Paolo Baretta e lui, Luciano Scalia. Intelligenti, vivaci, chiari perché sapevano di cosa parlavano e cosa volevano. Due leader. Ma quando Morese fu chiamato in segreteria confederale per sostituirlo fu scelto Gianni Italia. Pier Paolo accettò. Luciano, che era spirito ribelle, dopo un paio d’anni preferì lasciare il sindacato. Andò a lavorare alla Italtel, che era un’azienda molto innovativa, che praticava relazioni industriali molto avanzate. Non ebbe problemi di identità, continuò a fare il suo lavoro con continuità e determinazione, come l’aveva fatto nel sindacato. E fece carriera, tanto che qualche anno dopo rivestì il prestigioso ruolo di capo del personale di Telecom Italia, la grande azienda pubblica di telefonia. Un ruolo importante che svolse con grande capacità e competenza. Quando il suo presidente, Gian Mario Rossignolo, che lo amava molto, cadde, anche lui abbandonò. E’ una maledizione che non ho mai capito, quando cambia il vertice di un’azienda il nuovo arrivato per prima cosa sostituisce l’ufficio stampa, e si può capire, ma anche il capo del personale. E fu così anche questa volta. Luciano non fece una grinza, lasciò Telecom e le relazioni industriali. Era questa la sua passione però, e qualche anno dopo tornò a cimentarsi in questo campo, come capo del personale di Almaviva, grande azienda delle Tlc, di Alberto Tripi. Poi finì anche questa esperienza e si ritirò, senza rimpianti, diceva lui, secondo i suoi amici con il cuore sempre lì.
Adesso non c’è più, un vuoto difficile da ignorare. Noi che gli abbiamo voluto bene lo avremo sempre nel nostro cuore. Perché era intelligente, simpatico, aveva un grande cuore, era un lottatore, era determinato. Era un amico.
Massimo Mascini