Luciano Lama nacque a Gambettola il 14 ottobre del 1921 e morì a Roma il 31 maggio del 1996. Quest’anno ricorrono dunque, assieme, il centenario della sua nascita e il venticinquennale della sua scomparsa. A un quarto di secolo dalla dipartita di un protagonista così importante della vita pubblica del nostro Paese, ci si potrebbe aspettare che inizi il tempo della riflessione storica e dei bilanci sul carattere più o meno duraturo della sua azione. Ma, come ha dimostrato il convegno on line che si è svolto ieri su in iniziativa della Fondazione “Di Vittorio”, intitolato “Luciano Lama, uomo del sindacato e delle Istituzioni”, sembra che per il grande leader della Cgil questo tempo non sia ancora venuto.
Ciò, almeno, per un paio di motivi.
In primo luogo, come ha mostrato anche un recente convegno su Gianni Agnelli, organizzato anch’esso nel centenario della nascita di quest’altro protagonista della nostra storia recente, avvenuta nello stesso 1921, pare che nel nostro Paese non si disponga ancora di una ricostruzione storica condivisa del periodo che va dagli anni 70 agli anni 80 del secolo scorso. Che sono poi gli anni in cui Lama fu a capo della Cgil, e Agnelli a capo della Confindustria, oltre che della Fiat. E furono quindi anche gli anni del controverso accordo – cosiddetto Lama-Agnelli – sull’unificazione del punto dell’indennità di contingenza.
Nei convegni sui protagonisti di questo periodo, in assenza di storici che abbiano già prodotto studi approfonditi, vengono chiamati a parlare i testimoni dell’epoca, quelli che in quegli anni erano già attivi sulla scena delle relazioni industriali o sulla scena politica. Si raccolgono così ricordi e riflessioni, materiali appassionati e interessanti e anche preziosi, per quell’indagine storica che deve essere ancora compiuta. Quello che ancora manca, però, è forse proprio una necessaria distanza dai fatti oggetto del discorso. Una distanza che appare dunque ancora insufficiente.
In secondo luogo, nella storia del nostro Paese vi sono dei problemi irrisolti, che tendono a riproporsi. Talvolta in termini identici, talvolta in termini anche significativamente mutati, ma comunque in modo tale che è possibile riconoscere una loro più antica matrice.
Accade così che se ci si sofferma sulle parole e sugli atti di un protagonista delle vicende svoltesi in Italia tra quaranta e cinquanta anni fa, o anche più indietro, si può avere l’impressione di trovarsi di fronte a parole e atti di valore profetico. Oppure, si ha la vertigine di trovarsi di fronte a squarci di attualità proiettati all’indietro nel tempo. Il che ci dice, certo, del valore dell’uomo. Ma anche, purtroppo, di quanto siano faticosi i progressi della nostra vicenda sociale e politica.
Prendiamo la questione della sicurezza e dell’auspicata non nocività degli ambienti di lavoro.
Il 13 marzo del 1987 si verificò a Ravenna uno dei più gravi incidenti della nostra storia industriale. Quel mattino, un incendio si sviluppò all’improvviso sulla motonave Elisabetta Montanari, sulla quale erano in corso lavori di manutenzione gestiti dal cantiere Mecnavi. Furono ben 13 gli operai che perirono nell’incendio. Due mesi dopo, in giugno, Lama fu eletto al Senato e divenne uno dei suoi Vice Presidenti. L’anno successivo, lo stesso Lama divenne anche Presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle condizioni di lavoro nelle aziende, da lui fortemente voluta, anche a causa dell’impressione suscitata dalla tragedia della Mecnavi, avvenuta nel principale porto della sua Romagna.
La vicenda è stata rievocata da Valeria Fedeli che, come Lama, dopo una vita da sindacalista nella Cgil, è divenuta non solo Senatrice, ma anche Vice Presidente (Vicaria) del Senato. Fedeli ha quindi ricordato che nella relazione conclusiva dell’indagine della Commissione, presentata il 26 ottobre del 1989, Lama invitava tutti a riflettere su “quanto siano rilevanti, anche sotto il profilo dell’interesse pubblico e generale, le tematiche specifiche riguardanti la sicurezza del lavoro e il diritto dei lavoratori alla difesa della loro salute e della loro vita”.
Con parole che oggi ci appaiono terribilmente attuali, anche pensando a recenti casi di cronaca, Lama aveva anche osservato che “in questo nostro mondo tutti hanno una parola di comprensione per il lavoratore o la lavoratrice infortunati o ammalati, ma poi quasi nessuno si mette pazientemente e pervicacemente alla ricerca delle cause di quell’infortunio o di quella malattia”. Anzi, “un momento dopo aver pronunciato parole che – in questo modo – diventano di circostanza, se ne scordano e pensano ad altro”.
Ma in precedenza, intervenendo in Commissione in occasione dell’audizione dei sindacati confederali (7 giugno 1989), lo stesso Lama aveva invece sottolineato quanto fosse importante “unificare gli strumenti della prevenzione, proporre norme relative alla sicurezza delle macchine” e “alla conoscenza dei materiali che si maneggiano”, nonché “all’omologazione” delle stesse macchine “sotto il profilo della garanzia e della sicurezza”. Dando prova di quell’approccio “pragmatico e riformista” che, secondo Fedeli, costituisce la cifra tipica del Lama sindacalista come del Lama dirigente politico. Un approccio basato sulla convinzione che, innanzitutto, sia necessario
conoscere, e quindi studiare, i problemi che vengono di volta in volta affrontati. Per non restare impigliati, appunto, nelle “parole di circostanza” e individuare, invece, percorsi credibili di soluzione di tali problemi.
Prendiamo, adesso, la questione dei rapporti fra le tre maggiori confederazioni sindacali. Nel suo intervento, Fausto Bertinotti – altro sindacalista Cgil che, come Lama e Fedeli, è stato anche parlamentare (anzi, Presidente della Camera) – ha definito Lama come “uomo della Cgil ma anche, indissolubilmente, uomo dell’unità sindacale”. Dopodiché ha sottolineato il ruolo decisivo avuto dallo stesso Lama nella scelta di fondare il nuovo sindacato unitario, in via di costruzione all’inizio degli anni 70 del Novecento, sui delegati e sui Consigli di fabbrica.
Nel suo intervento conclusivo del convegno, Maurizio Landini, l’attuale Segretario generale della Cgil, ha affermato che scopo dell’incontro non era solo quello di ricordare il suo illustre predecessore, ma di capire cosa dell’esperienza di Lama “ci può servire” in un mondo che “ha vissuto cambiamenti radicali” rispetto a quello in cui lo stesso Lama ha svolto le sue funzioni di dirigente sindacale e politico.
Facendo sue le parole di Bertinotti qui sopra ricordate, Landini si è quindi chiesto: “Come si rilancia oggi l’unità sindacale?”. Aggiungendo subito dopo che il problema che lui ha in mente non è solo quello, certo non secondario, dell’unità fra Cgil, Cisl e Uil, ma quello, anche più complesso, dell’unità sociale del mondo del lavoro.
“Mai – ha sostenuto Landini – abbiamo vissuto una situazione del mondo del lavoro così frammentata come quella di oggi.” Una situazione che, peraltro, “corrisponde anche a una crisi della partecipazione politica” e quindi della stessa “rappresentanza politica”.
Se una delle cause che fra gli anni 70 e gli anni 80 non ha consentito a Cgil, Cisl e Uil di raggiungere l’obiettivo dell’unità sindacale organica “dipende molto probabilmente – ha proseguito Landini – anche dal condizionamento allora esercitato dalle forze politiche”, oggi è tanto più “necessario riaprire questa discussione”. E ciò “perché non vi sono più ragioni di appartenenza politica che possano bloccare questo processo”.
Per Landini, occorre quindi “mettere al centro della discussione sindacale e politica” l’interrogativo su cosa significhi oggi la “ricostruzione dell’unità sociale del mondo del lavoro”, nonché la “ricentralizzazione del mondo del lavoro e delle sue problematiche nella vita politica”. Vita politica considerata, peraltro, non solo in chiave italiana, ma anche nella sua dimensione europea. E la via indicata da Landini per iniziare a muoversi verso il raggiungimento di questi obiettivi, a partire dal superamento della frammentazione del mondo del lavoro e della concorrenza fra i lavoratori, è quella di riattivare la discussione sulla “partecipazione dei lavoratori” stessi, da un lato, alle “scelte delle imprese” e, dall’altro, a “quelle della politica”.
Nel corso dell’incontro, ospitato, per ciò che riguarda gli oratori e alcuni invitati “in presenza”, nella sala Zuccari di palazzo Giustiniani (di pertinenza del Senato), Landini ha anche consegnato una targa ricordo a Rossella Lama, una delle figlie del grande sindacalista. Targa su cui è stata riprodotta la stessa immagine di Lama che campeggiava sul manifesto che, sabato 9 ottobre, è stato distrutto dagli assalitori della sede nazionale Cgil, in corso d’Italia. Un oltraggio che Lama, che fra l’altro ha sempre espresso disgusto per la violenza, certo non meritava. E che dice molte cose sulla miseria degli stessi assalitori.
@Fernando_Liuzzi