La vertenza Telecity si è chiusa evitando il licenziamento per 69 lavoratori: il diario del lavoro ha intervistato Massimo Luciani, responsabile del settore emittenza privata per il sindacato Slc Cgil, che approfondisce lo stato del settore, in particolare quello delle piccole emittenti, in precario equilibrio tra la mancanza di riforme e di contributi pubblici e la concorrenza delle emittenti digitali e delle piattaforme web.
Luciani, nella vertenza Telecity sono state concordate misure di salvataggio definite “draconiane”: quali sono nel dettaglio?
Le misure che sono state inserite nell’accordo consistono innanzitutto nell’applicazione di un contratto di solidarietà tirato ai massimi di legge: parliamo del 60% di riduzione dell’orario di lavoro come media complessiva e del 70% di riduzione effettiva individuale. Questa riduzione di orario sarà integrata dall’Inps al 50% come da norma di legge, con una perdita economica per il lavoratore non indifferente. Il nostro intento è quello di ridurre questa misura in fase di gestione, ma non sarà semplice: dipenderà anche dalle eventuali uscite volontarie dei lavoratori, i cui numeri saranno da verificare nei prossimi mesi. A questo aspetto, che è direttamente economico, si accompagna quello della soppressione delle sedi di Genova e Torino, a cui si aggiungerà quella di Alessandria nel mese di Settembre, con una convergenza dei lavoratori sulla sede di Castelletto d’Orba, Queste misure pur stringenti consentono di andare avanti fino al 31 dicembre 2017 evitando i licenziamenti, al di fuori di quelli che il lavoratore eventualmente accetterà, attraverso un accordo personale effettuato sotto la tutela del sindacato.
I sindacati hanno chiesto all’azienda anche un progetto strategico per il futuro.
Uno dei punti sui quali nel corso della trattativa abbiamo espresso, e continuiamo a esprimere, più dubbi, è proprio quello che riguarda il piano industriale e quello editoriale dell’emittente. Le dichiarazioni dell’azienda non prevedono alcun intervento verso l’innovazione tecnologica e la formazione, mentre si punta al taglio dei contenuti. Si tratta di un orientamento che porterà alla fuoriuscita dai parametri stabiliti dal prossimo regolamento rispetto alla concessione dei contributi pubblici. Infatti, adottando questa linea, non ci sarà più contenuto autoprodotto in quantità sufficiente: pertanto l’emittente smette definitivamente di essere un editore. Telecity potrà soltanto affittare le frequenze a soggetti terzi, oppure continuare a trasmettere senza contributi pubblici, basandosi solo su televendite e altre operazioni commerciali come la cartomanzia. Entrate di questo tipo però non sono qualificanti né tantomeno valide per sostenere un organico numeroso.
Quali sono stati i rapporti con le istituzioni pubbliche locali e territoriali?
Per quanto riguarda la regione Liguria, non c’è stata alcuna convocazione dei sindacati, mentre con la regione Lombardia e la regione Piemonte c’è stato effettivamente un dialogo. Il primo a prendere l’iniziativa è stato il prefetto di Alessandria, in una riunione dove sono stati presentati diversi attestati di solidarietà ai lavoratori. Nonostante i buoni propositi, a livello territoriale non ci sono state risposte effettive sulle urgenze, che sarebbero state utili in tempi brevi. Le istituzioni a livello nazionale sono state invece completamente assenti: noi avevamo chiesto una convocazione presso la X e XI Commissione sia della Camera sia del Senato e anche un incontro alla Direzione delle Attività Produttive: questa crisi infatti non avviene su un altro pianeta, ma per motivazioni in cui si incrociano il sistema dei contributi pubblici e l’assegnazione delle frequenze anch’esse pubbliche. Dallo Stato ci si aspettava quindi come minimo un intervento che potesse orientare ad una politica capace di dare prospettive, ma non è stato assunto alcun ruolo in merito.
Qual è attualmente lo stato del settore?
Dal punto di vista delle regole pubbliche si tratta di un settore fortemente penalizzato, perché siamo da tempo in una fase di transizione dalla vecchia alla nuova legge sull’editoria e dal vecchio al nuovo regolamento rispetto ai contributi pubblici, il quale ancora si trova al vaglio del Consiglio di Stato.
In questa situazione, stiamo ancora aspettando i contributi relativi al 2015, che risultano di fatto congelati; inoltre c’è una promessa di contributi aggiuntivi legati alle entrate da Canone TV, per cui comunque si deve attendere il 2018. Si delinea un contesto in cui tutte le emittenti locali stanno soffrendo: vengono chiuse le linee di credito con le banche, ci sono problemi di liquidità, non si riescono a pagare i fornitori.
Allo stress attuale dell’assenza del contributo pubblico, aggravato anche dalla flessione dell’altra grande voce del fatturato, ovvero la pubblicità, si aggiunge anche un nuovo fattore di criticità: nel 2022, ci sarà l’asta delle frequenze 700, che verranno spostate dall’emittenza televisiva alla telefonia. Con una minore disponibilità di frequenze si corre il rischio che scompaia un numero molto cospicuo di soggetti attualmente presenti nel settore.
Il digitale può essere considerato una delle cause della crisi del settore?
Certamente uno dei fattori che modificano il mercato è quello della concorrenza, da parte del settore televisivo come della radiofonia, nonché dalle web tv e web radio. Chi ha risorse per farlo si sta già muovendo nella direzione del web; le piccole emittenti, pur in difficoltà, stanno comunque valutando l’opzione di dotarsi di un modello multipiattaforma, in modo da essere presenti anche su Internet e cercare di interagire con diverse modalità di fruizione dei contenuti, come Youtube e altri social network. Ovviamente tutto ciò non garantisce totalmente la tenuta dell’emittente, in quanto bisogna tener conto che per la pubblicità che si può ottenere online, la “torta” viene divisa da una quantità di soggetti estremamente elevata. In valori assoluti, anche chi riesce a riconvertirsi e a sperimentare altri modelli non ha poi un corrispettivo elevato. Questo però può essere un modo per difendersi e mantenere livelli accettabili a livello occupazionale e di qualità dei contenuti