Aria nuova nelle relazioni industriali. L’accordo firmato a Palazzo Chigi cambierà sostanzialmente le cose. Il salario potrà crescere, ma anche diminuire, gli orari mutare, anche le mansioni dei singoli lavoratori non sono più certe e fisse, potranno variare in peggio. Chi pensava che questo accordo sarebbe restato sulle generali, ritoccando questo o quel particolare, ma lasciando sostanzialmente le cose inalterate, deve ricredersi. Il cambiamento ci sarà e sarà pesante. Resta da capire se questo per l’intera economia, per le aziende e per il singolo lavoratore sarà un bene o un male. Se cioè le cose cambieranno in meglio o in peggio.
Il salario, dicevamo, potrà variare. Il contratto nazionale fisserà i nuovi minimi, che peraltro avranno un rapporto molto lasco con il mantenimento del potere di acquisto, perché la formula usata è assai vaga. Ma sempre il contratto nazionale potrà autorizzare che una parte degli aumenti decisi sia collegato in sede aziendale a obiettivi di produttività. Nel caso in cui ciò avvenga, ed è da credere che tutti i contratti prevederanno questa possibilità, il salario potrà crescere perché questi aumenti saranno tassati in maniera meno consistente, al 10%. C’è però anche il rischio che il salario scenda, perché è anche possibile che non si verifichino gli incrementi di produttività fissati, e quindi l’aumento non ci sarebbe. Insomma, luci e ombre.
C’è da chiedersi quanti lavoratori profitteranno di questa possibilità. La Cgil ha sottolineato che saranno pochi, i due milioni che al momento fanno contrattazione di secondo livello. Probabilmente saranno di più perché la possibilità di veder diminuire la tassazione sui salari spingerà più aziende a quella contrattazione che adesso non praticano perché non ne avrebbero alcun vantaggio, ma parecchi svantaggi.
Questo per i lavoratori, ma per le aziende? L’accordo porterà davvero maggiore produttività? Noi abbiamo sempre sostenuto che la contrattazione può davvero cambiare le carte in tavola, soprattutto se fatta in azienda, dove si conoscono bene i motivi reali per i quali la produttività, che cresceva prepotente negli anni 70 e 80, si sia poi arrestata. Il collegamento tra salario e obiettivi precisi, scelti assieme, possono portare quindi reali incrementi della produttività. Il lavoratore, se sa che al raggiungimento di quegli obiettivi è legata una parte della propria retribuzione, farà di tutto perché essi siano colti. Certo, la produttività sale se ci sono investimenti, se il collegamento con la ricerca è forte e tutto questo non dipende certo dal lavoratore. Ma lui può dare il massimo di quanto gli compete e questo può comunque significare qualcosa.
Meno rilevanti sembrano le disposizioni per diversi orari, perché la contrattazione ha già sperimentato da anni tutti i tipi possibili di orari flessibili, è difficile che si possa inventare qualcosa di nuovo. E comunque il sindacato non si è mai tirato indietro quando si è trattato di lavorare con un orario diverso. Più spinoso il tema del demansionamento. Nessuno ama vedere declassato il proprio lavoro. Chi è assunto per fare un certo lavoro non ama doverne fare un altro, meno importante, con un salario ridotto. E’ anche vero che questo avverrebbe in caso di crisi aziendale, quindi in momento di estrema difficoltà, quando c’è da stringere la cinghia, quando certi lavori in un’azienda sono soppressi perché mancano le commesse. E comunque queste sono cose che avverrebbero con il consenso del sindacato, che non accetterebbe, si deve credere, demansionamenti motivati solo dalla volontà di spingere un lavoratore a licenziarsi.
Su tutto questo accordo pesa poi il mancato assenso della Cgil. Raffaele Bonanni e Giorgio Guerrini, segretario generale Cisl e presidente Confartigianato, hanno assicurato a il diario del lavoro in due diverse interviste che l’accordo sarà applicato anche se la Cgil non lo ha firmato, che non ci saranno problemi. La nettezza con la quale Susanna Camusso ha assicurato che non ci sarà alcun ripensamento da parte sua, fa credere che qualche difficoltà ci sarà, perché non si può fare a meno del più grande sindacato del paese. Dopo l’accordo separato del 2009 la stagione contrattuale è andata avanti lo stesso perché la Cgil aveva deciso di partecipare comunque a tutte le trattative contrattuali, magari spuntando qualcosa in più di quanto non avesse fissato l’accordo interconfederale. Ma stavolta può essere diverso, può esserci un’opposizione dura, che squasserebbe l’intero sistema di relazioni industriali. La speranza è che ciò non accada, non fosse che perché la Cgil si troverebbe in un cono d’ombra molto pericoloso, ma non sempre si seguono le linee di comportamento più credibili o più giuste.
Massimo Mascini