I contratti saranno l’occasione per dare più salario ai lavoratori, perché questi capiscano che il sindacato è al loro fianco per migliorare le loro condizioni di vita. Tutti assieme dovranno costituire una grande vertenza collettiva, nella quale il sindacato si giocherà tutta la sua credibilità. Perché i lavoratori abbiano un punto di riferimento preciso, un elemento di stabilità. Ma dovranno essere anche qualcosa di più, l’occasione perché i lavoratori riescano a realizzare sé stessi sul posto di lavoro, perché questo non sia più tempo sottratto alla vita, ma fonte di felicità. Come era una volta. È quanto crede Luca Stanzione, segretario generale della Camera del la voro di Milano.
Stanzione, si sta per aprire una difficile stagione di rinnovi contrattuali. Come guarda a questo appuntamento la Cgil di Milano?
Con grande attenzione, perché saranno più di 15 milioni di persone ad attendere il rinnovo del loro contratto nazionale. Una stagione simile ci fu solo nel 1969, quando vennero a scadenza assieme tutti i grandi contratti.
Un anno importante il 1969, fu quello dell’autunno caldo.
Sì. E anche questo può esserlo, perché possiamo, forse dobbiamo, ragionare sul modello e sulla funzione del sindacato. Tocca a noi pensare come queste vertenze contrattuali, che interessano le singole categorie, in realtà diventino una grande vertenza collettiva del sindacato confederale, che in questa occasione, sul terreno dei rinnovi contrattuali, si gioca una parte della propria credibilità.
Cosa deve fare il sindacato?
Deve uscire da questa stagione come il sindacato che si è battuto al fianco dei lavoratori per un aumento dei salari contro il carovita, appunto facendo diventare questa battaglia generale e confederale.
Milano sente questa urgenza?
Profondamente. Perché è attraversata, come tutto il paese, dagli sconvolgimenti geopolitici che stiamo vivendo. Dalla chiusura del Canale di Suez, che rallenta l’arrivo delle materie prime, agli sconvolgimenti delle aree di influenza del commercio mondiale. Tutto ciò ha un’influenza diretta sulla nostra economia. E per questo dico che i rinnovi contrattuali devono rappresentare un punto fermo che ci faccia affrontare i prossimi anni con un elemento di stabilità.
È questo che serve?
Sì, anche a Milano. Dove, per esempio, da un anno all’altro il turismo ha avuto un forte sviluppo, tanto che gli addetti sono raddoppiati. Ma il 90% di loro sono lavoratori precari.
È possibile che si arrivi a risultati consistenti sul piano salariale?
Se non fossero di rilievo i risultati non verrebbero percepiti dai lavoratori e quindi il sindacato non sarebbe a loro avviso un oggetto utile a migliorare la condizione di vita dei lavoratori. L’inflazione non è un evento atmosferico, è originato da una serie di concomitanze, la guerra, l’andamento del commercio internazionale, molto dalla politica tardiva della Bce, che non si è mossa in anticipo, come ha fatto invece la Federal Reserve negli Stati Uniti. Ma certamente ha aumentato gli squilibri e fatto fare molti profitti. Adesso è giusto che con i contratti ci sia una redistribuzione.
La struttura contrattuale, le regole che determinano l’andamento della negoziazione non sono stati rinnovate e appaiono superate. Serviva un grande accordo che non c’è stato. Questo influirà negativamente sui rinnovi?
Noi siamo riusciti a trovare degli accordi, di carattere strutturale, anche sulla materia salariale. Ricordo quelli nel settore del legno e nella metalmeccanica. Però nel settore del legno le nostre controparti volevano far saltare quell’accordo, mentre la metalmeccanica rispetta l’accordo fatto, ma adesso vuole ridiscuterlo. È evidente che non avere un accordo contrattuale esigibile è un elemento che indebolisce tutti, noi, ma anche il sistema delle imprese.
E se si è deboli non si riesce a negoziare bene.
Nel caos generale noi dobbiamo reagire con elementi di stabilità e punti di forza che nessuno possa mettere in discussione. Altrimenti la nostra economia, così esposta sul versante internazionale, a fronte di sconvolgimenti mondiali si troverebbe in difficoltà.
Questa esigenza è avvertita dalle vostre controparti?
Le regole sul lavoro e per il salario dovrebbero essere un problema di interesse per tutti, ma non è così. A Milano il disinteresse dei datori di lavoro ha prodotto il fatto che per tante lavorazioni non si trovano le persone disposte a farlo. Perché non vogliono farlo con salari troppo bassi.
Il governo non aiuta.
Il governo non ha alcun interesse a che le parti trovino regole comuni di comportamento. Perché vuole essere lui il punto di riferimento promettendo una pace sociale in nome di un’adesione all’interesse nazionale. Ma i lavoratori e le lavoratrici vogliono il rinnovo dei contratti e nel paese sul tema dei salari c’è una forte conflittualità, alla quale però né il governo, né le imprese danno una risposta.
L’attenzione che le relazioni industriali stanno dando alla persona riuscirà ad arrestare la caduta del valore del lavoro di questi ultimi anni?
Ci hanno raccontato la favola che avrebbero messo al centro la persona e non il lavoratore. Ci ritroviamo con le persone che vogliono scappare dal lavoro, che preferiscono situazioni di solitudine nel lavoro, che, appena possono, preferiscono lavorare da remoto. Tutto ciò ha provocato una svalorizzazione della persona in quanto lavoratore. Dobbiamo invece affermare che la persona deve trovare nel posto di lavoro il luogo in cui potersi realizzare, dove essere felice.
Come accadeva una volta.
Io credo ci sia uno spazio perché si possa dire alle nuove generazioni che il lavoro non è una parentesi della vita. Non sono ore sottratte alla vita per procacciarsi il finanziamento del resto della vita, sono ore della vita. È evidente che noi dobbiamo rimettere insieme queste cose, il salario, il reddito, il tempo, ma anche una rivendicazione difficile da tradurre in una istanza collettiva, che è la capacità di realizzarsi nel proprio posto di lavoro. E questo significa formazione continua, un nuovo rapporto tra impresa e lavoro nella distribuzione del tempo di lavoro, significa anche maggiore libertà per chi lavora, maggiore libertà di carattere individuale.
Questo dovrebbe essere l’impegno del sindacato, ma oggi il sindacato è in grado di produrre questi risultati?
Noi siamo l’organizzazione più penetrata e penetrante del paese. E quando mi dicono che il sindacato è in ritardo, ha perso dei treni, io penso al sindacato degli anni 70, a come era rappresentata la Cgil, sempre marginale: eppure senza il sindacato, senza la Cgil, non avremmo mai avuto lo Statuto dei lavoratori, che fu votato l’11 dicembre del 1969. Il sindacato è dentro il corpo del paese, ha le gambe per correre questa maratona.
Massimo Mascini