Tensioni gravi, potenzialmente destabilizzanti. La nota più negativa, o forse potremmo dire la nota più esplicitamente negativa, delle Considerazioni finali svolte dal Governatore della Banca d’Italia all’Assemblea annuale dell’Istituto, tenutasi stamattina a Roma, è quella riservata ai rapporti fra Grecia e Unione europea. Dove, a proposito del “riacutizzarsi della crisi”, si osserva che “le difficoltà delle autorità greche nella definizione e nell’attuazione delle necessarie riforme”, nonché “l’incertezza sull’esito delle prolungate trattative con le Istituzioni europee e con il Fondo monetario internazionale”, alimentano, appunto, “tensioni gravi, potenzialmente destabilizzanti” (pag. 9).
Per il resto, le Considerazioni finali sono improntate a un tono moderatamente ottimistico, scandito dal rincorrersi di espressioni quali “ripresa” e “crescita”. Il che non significa che non vi sia una certa continuità di pensiero nell’analisi delle deficienze del nostro sistema produttivo portata avanti da Ignazio Visco. Il Governatore afferma infatti che in Italia l’attività innovativa è “meno intensa” di quanto non sia “negli altri principali paesi avanzati”. E ciò con particolare riferimento al “settore privato”. “L’ultima indagine europea sull’innovazione”, incalza Visco, “indica che il ritardo, particolarmente ampio rispetto alla Germania, è accentuato nei settori industriali a più elevato contenuto tecnologico”. E ciò anche perché “è molto inferiore, per le imprese italiane, la capacità di svolgere attività di ricerca e sviluppo al loro interno e di collaborare con università e altre istituzioni di alta formazione” (pag. 10).
Ma l’anno scorso le osservazioni critiche sui limiti delle nostre imprese erano non solo più esplicite, ma inserite in un ragionamento volto a sottolineare la necessità di una ripresa degli investimenti, pubblici e privati. Un ragionamento in cui si auspicava che gli imprenditori italiani, “mostrando per primi fiducia nelle prospettive delle loro aziende”, impegnassero in esse “risorse proprie” in maggior misura.
Quest’anno, come si è detto, il tono generale delle Considerazioni è cambiato. Perché? Probabilmnte, per due diversi ordini di fattori. Uno è quello connesso ai pur timidi segni di ripresa, che tornano a far crescere alcuni indicatori economici positivi o arrestano la caduta di quelli negativi. L’altro è il fatto nuovo rappresentato dall’iniziativa assunta dalla Bce guidata da Mario Draghi con il lancio della sua azione di quantitative easing.
Seguendo lo stile compassato dei suoi predecessori, Visco è ovviamente attentissimo a non fare nomi e cognomi. E tuttavia non si può non notare che lo stesso incipit delle Considerazioni finali di quest’anno è chiarissimo. “Il 2014 – esordisce Visco – è stato un anno di forti cambiamenti, in Europa per l’evoluzione del contesto istituzionale”, nonché “per le decisioni di politica economica e monetaria”, mentre “in Italia” per “l’accelerazione dello sforzo di riforma”. Insomma, si sta parlando di Draghi e di Renzi. Per Visco, il 2014 è stato quindi “un anno di scelte impegnative i cui primi risultati, importanti ma fragili, vanno difesi con determinazione” (pag. 3).
Vanno difesi, si suppone, nei fatti. Ma, in un certo senso, anche con le parole delle Considerazioni finali, lette stamattina da Visco nel salone posto al secondo piano di palazzo Koch.
Di fronte ai rischi “connessi con un periodo prolungato di inflazione particolarmente bassa, se non di deflazione”, il “Consiglio direttivo della Bce” ha varato, fra l’altro, “l’acquisto di obbligazioni bancarie garantite e di titoli emessi a seguito della cartolarizzazione di prestiti a imprese e famiglie”; e poi, ecco il punto, ha deciso “di estendere gli acquisti di attività finanziarie ai titoli pubblici”. Un programma che “prevede acquisti mensili per 60 miliardi fino a settembre 2016, e comunque fino a quando non si verificherà un aggiustamento durevole del profilo dell’inflazione, coerente con il ritorno alla stabilità dei prezzi” (pagg. 6-7).
Insomma, questa della Bce è stata una scelta giusta. E Visco lo afferma rivendicando di aver denunciato “ripetutamente” in passato i rischi connessi a una fase di deflazione. E ricordando che le norme europee “sanciscono l’indipendenza” delle autorità di politica monetaria “rispetto alle istituzioni politiche” (pag. 20).
Da questa scelta di fondo, deriva anche l’atteggiamento di cauta valutazione positiva per l’operato del governo Renzi. Un ministero di cui vengono particolarmente apprezzati “i recenti provvedimenti di riforma del mercato del lavoro”. Provvedimenti che “hanno esteso i meccanismi di sostegno del reddito dei disoccupati e ridotto, per i nuovi contratti, il disincentivo alle assunzioni a tempo indeterminato connesso con l’incertezza sugli esiti della risoluzione dei rapporti di lavoro” (pag. 11). Ovvero, hanno reso meno incerti, dal punto di vista delle imprese, gli esiti di eventuali cause intentate da lavoratori licenziati.
Ora Visco è persona intellettualmente onesta, e non si nasconde che “una valutazione compiuta degli effetti di questi provvedimenti è prematura.”, anche perché “la dinamica dell’occupazione riflette ancora la debolezza della domanda e gli ampi margini di capacità produttiva inutilizzata”. E tuttavia, Visco ritiene importante sottolineare che “la forte espansione delle assunzioni a tempo indeterminato” verificatasi nei primi mesi del 2015, “favorita anche dai consistenti sgravi fiscali in vigore da gennaio”, è in sé “un segnale positivo” che “suggerisce che con il consolidarsi della ripresa l’occupazione potrà crescere e orientarsi verso forme più stabili”.
Tutto bene, dunque? No, perché tra le righe delle Considerazioni finali di quest’anno fa capolino lo spettro della cosiddetta jobless recovery, con cui anche Obama ha dovuto combattere nei primi anni del suo mandato presidenziale. Per Visco, infatti, “esiste il rischio, particolarmente accentuato nel Mezzogiorno, che la ripresa non sia in grado di generare occupazione nella stessa misura in cui è accaduto in passato all’uscita da fasi congiunturali sfavorevoli”. Ciò anche perché la crisi “si è innestata su una grande trasformazione dettata dal progresso tecnologico e dalla crescita dell’integrazione tra le economie, con grandi paesi emergenti tra i protagonisti”. Ne segue che “la domanda di lavoro da parte delle imprese più innovative potrebbe non bastare a riassorbire la disoccupazione nel breve periodo”. Un risultato in sé negativo, nonché portatore di ulteriori problemi. Se ciò si verificasse, infatti, “ne risentirebbe la stessa sostenibilità della ripresa, che non troverebbe sufficiente alimento nella spesa interna” (pagg. 11-12).
Morale della favola. Al momento il governo Renzi, Padoan incluso, si è conquistato un certo grado di condivisione delle sue politiche, almeno per ciò che riguarda il mercato del lavoro, da parte di un Istituto autorevole come la Banca d’Italia. Ma questo stesso istituto è il primo a ricordare al Governo quanti e quali problemi dovrà affrontare nei prossimi mesi.
@Fernando_Liuzzi