L’emergenza sanitaria ha imposto un’accelerazione, mai vista prima, alla diffusione dello smart working. L’orario di lavoro può dunque diventare una leva indispensabile per affrontare l’annoso problema della produttività, traghettare il mondo del lavoro verso la transizione green e tecnologica e mitigare, anche, gli effetti sull’occupazione che, data l’incertezza attuale, con tutta probabilità vedrà un andamento a singhiozzo, come la ripresa.
Su questo tema Il diario del lavoro, assieme al Cnel, ha organizzato il webinar “L’orario di lavoro: tra nuove flessibilità e leva per la produttività”, al quale hanno partecipato esponenti del mondo delle imprese, del sindacato e studiosi.
Luciano Pero, docente presso il Politecnico di Milano, ha sottolineato la particolarità che il mondo del lavoro sta vivendo. Serve un pensiero e una visione di medio-lungo periodo, per aggredire e superare alcuni mali storici del nostro sistema produttivo. Davanti alla prospettiva di una ripresa a singhiozzo, intervenire attraverso la leva dell’orario di lavoro può rappresentare una valida soluzione, poiché richiede un basso costo, ha una valenza sistemica e può essere foriera di molti benefici. Nella sua proposta, Pero ha sottolineato come, attraverso una rimodulazione complessiva dell’orario di lavoro, è possibile incrementare la produttività, favorire l’ingresso dei giovani e delle donne nel mercato del lavoro e mitigare gli effetti della disoccupazione tecnologica. Per attuare questa svolta, bisogna ridurre, se non abbandonare, i classici strumenti di flessibilità, come lo straordinario e la cassa integrazione a zero ore. Questi istituti, ha affermato Pero, creano un ambiente sfavorevole anche alla formazione, per la quale manca sempre il tempo. Gli input per questo cambio di paradigma devono venire, prima di tutto, dal basso. Una spinta top-down, sostiene Pero, non è destinata a produrre frutti. Si deve dunque incoraggiare la contrattazione di secondo livello, per cogliere le specificità della singola azienda, del singolo territorio o della filiera. I contratti nazionali possono offrire quella cornice di supporto alle nuove sperimentazioni e alla diffusione della formazione continua. Lo stesso ruolo Pero lo delinea anche per la legge, che deve essere di appoggio.
Guido Lazzarelli, responsabile delle relazioni industriali di Confcommercio, ha spiegato la centralità che la flessibilità oraria ha sempre ricoperto nel settore del commercio, sia per le aziende più grandi e strutturate, sia per le più piccole. In merito agli strumenti per attuare tale flessibilità, Lazzarelli ha ricordato la centralità del contratto nazionale che, in quello specifico del commercio, prevede una grande elasticità in materia di orario di lavoro. La contrattazione di primo livello da dunque quella spinta sistemica necessaria a quella di secondo livello che, altrimenti, dovrebbe fare i conti con il limite costituito dalle diversità delle singole aziende.
Pietro De Biasi, responsabile delle relazioni industriali di Fca, nel suo intervento ha rimarcato gli squilibri e le ripercussioni negative che il nostro sistema di ammortizzatori sociali ha avuto e sta avendo sia sul rapporto di lavoro che sul welfare. Per De Biasi la strada seguita sino a questo momento ha proteso, in modo sbilanciato, verso una difesa passiva del posto di lavoro. Potrà esserci una vera svolta nel momento in cui un peso maggiore sarà riservato alle politiche attive e alla tutela dell’occupabilità del lavoratore.
Onofrio Rota, segretario generale della Fai-Cisl, ha parlato delle best practices presenti nell’industria alimentare, dove molte aziende, attraverso accordi e relazioni sindacali improntate al dialogo, hanno dato grande centralità al tema della flessibilità e della conciliazione vita-lavoro. Rota ha poi criticato l’impostazione che, per troppo tempo, il nostro paese ha seguito e continua a portare avanti, ossia dirottare risorse ingenti verso le politiche passive di sostegno. Se il contesto richiede, al momento, strumenti di difesa dell’occupazione, per la ripresa serve un pensiero ambizioso, che si distacchi dalle logiche del passato.
Pierangelo Albini, responsabile delle relazioni industriali di Confindustria, si è soffermato sui cambiamenti e le nuove prospettive che la pandemia, inevitabilmente, porterà con sé. Mai come in questo momento, ha precisato Albini, è centrale il tema dei tempi di vita e di lavoro. Se l’esperienza dello smart working proseguirà – ovviamente modulata in base alla natura delle singole mansioni – si dovrà ripensare anche il modello della relazione lavorativa, incentrata sulla partecipazione e sulla fiducia, dove i lavoratori richiederanno una cura crescente, e sempre meno sul controllo. In quest’ottica l’orario di lavoro diventa un istituto quasi obsoleto, perché tarato sulla valutazione delle performance in base a criteri quantitativi. Allo stesso modo andrà ripensato anche il ruolo e il peso dello stesso luogo di lavoro.
Cristina Cofacci, responsabile delle relazioni industriali di Leonardo, ha raccontato la gestione della crisi, sul versante dell’organizzazione dell’orario di lavoro. Se con la pandemia c’è stata una riconcorsa spasmodica allo smart working, per il futuro sarà importante fare una ricognizione per capire quanti e quali lavoratori sono remotizzabili. Per Cofacci si apre anche un tema legato alla solidarietà tra chi potrà operare da remoto e chi no. Una transizione che dovrà essere gestita incrementando la formazione per gli attori delle relazioni industriali.
Alessandro Genovesi, segretario generale della Fillea-Cgil, ha posto l’accento su come alcune aziende, in particolare quelle più piccole, sotto capitalizzate e con meno propensione all’innovazione, rappresentino uno degli ostacoli al cambiamento del nostro sistema produttivo. Lo straordinario è, molto spesso, un istituto presente nei lavori a basso salario. Dunque, oltre alla leva oraria, bisogna intervenire anche su quella salariale. Altro tema da affrontare è quello della formazione. Genovesi denuncia come, in diverse realtà, si faccia fatica a vedere gli aspetti positivi della formazione continua, che viene attuata solo per recuperare i soldi accantonati nei fondi interprofessionali.
Giovanna Bellezza, responsabile delle relazioni industriali di Tim, nel suo intervento ha ribadito l’importanza di risolvere l’annoso problema della bassa produttività. Solo in questo modo, afferma Bellezza, è possibile parlare di flessibilità e riduzione d’orario. Ovviamente l’orario di lavoro è un argomento centrale per i lavori a basso valore aggiunto. Ma se analizziamo le professioni maggiormente qualificate, l’attenzione, sostiene Bellezza, si sposta non tanto su una riduzione oraria quanto, piuttosto, su una gestione del tempo più autonoma. L’obiettivo, dunque, dovrebbe essere un maggior investimento verso i lavori di qualità.
Gino Colella, responsabile delle relazioni industriali di Ferrovie, ha rimarcato come l’emergenza sanitaria abbia dato una spinta straordinaria alla diffusione dello smart working. Questo, afferma Colella, richiede un nuovo codice etico nella gestione del lavoro da remoto, incentrato sulla fiducia reciproca, e una nuova capacità di valutazione della performance che però al momento non è presente. Dalla contrattazione di secondo livello possono nascere importanti processi di modernizzazione, da armonizzare all’interno di una legge quadro.
Anna Maria Ponzellini, sociologa del lavoro, ha confermato la centralità del tema della produttività. Questa può essere una leva straordinaria anche per affrontare la questione dell’orario di lavoro. Lo smart working si è dimostrato un tipo di schema con un alto tasso di produttività. Ponzellini ha poi sottolineato come non sia possibile pensare a una sostituzione, tout court, tra cassa integrazione e riduzione dell’orario di lavoro, visto quali sono le funzioni che assolve il primo istituto. Una strada da seguire, per gestire i momenti di bassa occupazione, sono i contratti di solidarietà.
Tiziano Treu, presidente del Cnel, nel suo intervento che ha concluso i lavori, ha messo sul tavolo alcuni spunti di riflessione sul tema. Treu ha sottolineato le numerose sperimentazioni che si possono ritrovare nei contratti di lavoro. Sul versante normativo, inoltre, non ci sono particolari ostacoli sulla gestione, da parte della contrattazione collettiva, dell’orario di lavoro. Tra i diversi usi che si possono fare di questo istituto, il presidente del Cnel ha ricordato anche la sua funzione di agevolare la staffetta generazionale. Infine la vera sfida è quella di capire in che modo declinare la questione dell’orario di lavoro nelle piccolissime aziende, poco propense all’innovazione, anche organizzativa, e in quelle che, all’opposto, che sono del tutto smart, dove l’orario di lavoro diventa qualcosa del tutto virtuale.