Il film uscì nel 1967. “New York: ore tre. L’ora dei vigliacchi”. Raccontava la storia di due balordi che in una carrozza della metropolitana vessavano, umiliavano, ridicolizzavano i passeggeri, succubi e incapaci di reagire. L’unico ad intervenire mettendo fine alla feroce bravata, pur avendo un braccio ingessato, era un soldato in licenza, lui solo, per nulla aiutato da un inerte commilitone. Un apologo sulla violenza urbana, la passività, l’ipocrisia, il coraggio. Uno scampolo di umanità intrisa di contraddizioni, timori, frustrazioni, cinismo. C’è dentro di tutto: egoismo, incomunicabilità, matrimoni in crisi sotto una facciata di perbenismo, mancanza di soldi, insoddisfazione sessuale, tirchieria, apparente spensieratezza giovanile, razzismo, omosessualità, alcolismo, “Non sono un eroe. Non faccio la storia, la insegno”, mormora con tristezza un professore alla moglie che lo accusa di essere un fallito.
Il titolo originale era “The Incident”. In italiano potrebbe essere tradotto, oltre che con incidente, con inconveniente, contrattempo, evento, episodio, caso, avvenimento. “ La nascita di Susy fu un incidente”, rinfaccia un insensibile marito alla consorte che vorrebbe un secondo figlio. Ecco, incidente assume cosi il significato di tutto ciò che non è voluto e che arriva all’improvviso mettendo a nudo le nostre incapacità e debolezze. Queste cose succedono solo in America, si disse allora in un afflato di spirito consolatorio. Ma quel che accade oggi intorno a noi fa capire che non ci sono più confini e differenze e che siamo tutti in quel vagone del metrò, assurto a simbolico teatro della vita contemporanea.
Non reagiamo. La violenza e la sopraffazione dilagano ma pensiamo che siano altro da noi. Pensiamo solo a farci gli affari nostri. L’odio sui social, il bullismo nelle scuole, la logica bestiale del branco, la derisione e sopraffazione del più debole, il rifiuto del diverso, la prepotenza sulle donne: non mi riguarda, io non c’entro, peggio per loro. La viltà non è un dato fisico ma una profonda carenza psicologica, l’incapacità di mettersi in gioco. Equilibri precari e spesso artefatti, personalità costruite su assiomi che non possiamo far vacillare, ambiguità, compromessi, lati oscuri. Intervenire a difesa di qualcuno vuol dire esporsi, aprirsi, offrire il proprio petto ai possibili strali dell’avversa fortuna. Meglio girare la testa dall’altra parte, sperando di non essere coinvolti. E magari confidare in qualcuno che risolva i problemi per noi, senza che ci si debba sporcare le mani. Ecco il bisogno dell’uomo forte, dal giustiziere della notte al dittatore. L’ora dei vigliacchi segna il buio dell’umanità dolente.
Marco Cianca