Negli ultimi tempi si è intensificato il dibattito su una riforma fiscale che preveda l’introduzione di una flat tax, quindi di un’aliquota unica, in sostituzione delle attuali aliquote progressive a scaglioni. Se proviamo a simulare con qualche dato anche solo approssimativamente l’impatto che questa misura provoca sul gettito, ci rendiamo conto della importanza e delicatezza dell’operazione.
La prima riflessione è di ordine ideologico: immaginando che si tratti di un’aliquota che si colloca tra quella minima (23%) e quella massima (43%) attualmente in essere, perché dovremmo optare per un nuovo sistema che privilegia le fasce alte di reddito e penalizza quelle più basse? Stando all’aliquota più generosa tra quelle ipotizzate tra le proposte di intervento che circolano negli ultimi tempi, quella del 25%, il vantaggio dei beneficiati è straordinariamente ampio.
Il secondo aspetto da chiarire è se a tale aliquota il gettito complessivo si mantenga inalterato oppure no. Stando sempre all’aliquota più generosa del 25% possiamo agevolmente concludere che la parità di gettito non sia tra gli obiettivi dei riformatori. Anche senza scendere nei dettagli la perdita di gettito è immediatamente percepibile se si pensa che già dal secondo scaglione (15mila / 28mila euro di reddito) i contribuenti otterrebbero una riduzione della tassazione passando dalla attuale aliquota del 27% alla nuova del 25%. Se poi consideriamo che quasi il 60% del gettito è fornito dai contribuenti sottoposti alla aliquota del 38%, ci rendiamo conto della portata del mancato gettito.
Quindi, superato l’ostacolo di ordine ideologico e appurato che difficilmente adottando un’aliquota unica si possa mantenere la parità di gettito, rimane da capire se i riformatori, consapevoli di una perdita di gettito, intendano: i) aumentare l’indebitamento pubblico; ii) fronteggiarlo con una contrazione della spesa; iii) recuperare il gettito perduto in conseguenza dell’applicazione dell’unica aliquota con misure finalizzate all’aumento della base imponibile.
Ritengo che siano scelte politiche assolutamente legittime, purché assunte con consapevolezza e soprattutto senza tentare di mistificare la realtà. L’aumento dell’indebitamento e la contrazione della spesa sono conseguenze che impattano su vincoli comunitari e su una politica sociale generalizzata. C’è da chiedersi se la semplificazione di un’aliquota unica possa valere la pena rispetto alle complicazioni che ne deriverebbero. Invece l’effetto combinato della riduzione delle aliquote e dell’aumento della base imponibile, unico modo per mantenere la parità di gettito, ha il sapore di una trappola. Ammesso che sia semplificatorio assoggettare il proprio reddito ad una aliquota unica rispetto agli scaglioni progressivi, il contribuente si troverà a dover rimodulare la determinazione del proprio reddito imponibile con misure nuove, probabilmente anche molto incisive sugli oneri deducibili e su quelli detraibili, sulle agevolazioni, sulle misure di sostegno e sui contributi obbligatori. Un sistema la cui sostenibilità finanziaria richiederà un monitoraggio attento ma soprattutto dovrà essere garanzia di equità.
E’ proprio il caso di dire che il Diavolo si annida nei particolari che nel caso della flat tax è dietro a un messaggio di facile propaganda, nascondendo però il vero nodo della questione.