A 10 anni dalla scomparsa di Gino Giugni è necessario discutere non solo sull’attualità, invero indiscutibile, dell’Opera del Maestro, ma anche sull’influenza che essa ha nel divenire delle relazioni industriali nel nostro Paese.
Come è noto Giugni costruì, valorizzando anche un fecondo confronto in ambito comparato, in primo luogo con le elaborazioni di Otto Kahn-Freund e la sua Scuola di Oxford, di Hugo Sinzheimer e Karl Renner, nonché di Selig Perlman, allievo di John Commons, la teoria dell’ordinamento intersindacale, che ha consentito al contratto collettivo nazionale di categoria la definizione di minimi uniformi, con il reciproco riconoscimento degli attori collettivi.
La legislazione promozionale del sindacato sui luoghi di lavoro, di chiara matrice giuridica riformista, completò il disegno delle relazioni industriali in Italia, conferendovi sistematicità, con il sostegno all’azione sindacale attraverso il Titolo III dello Statuto dei lavoratori, con il dialogo tra l’ordinamento intersindacale e quello statuale.
Oggi, quel dialogo deve essere aggiornato, anche alla luce di un elevato pluralismo sindacale e dell’associazionismo datoriale che al tempo non esisteva, non sempre genuino in verità, come dimostrano i cosiddetti “contratti-pirata”.
La rilettura della straordinaria elaborazione di Giugni deve servire in materia sindacale, anche a interpretare correttamente le dinamiche delle nuove relazioni industriali, eliminando rendite di posizione non suffragate da elementi oggettivi di rilevazione della rappresentatività e individuando soluzioni rispettose delle previsioni costituzionali in materia di efficacia generale dei contratti collettivi.
D’altronde, Gino Giugni fu sempre un giurista che nel proprio impegno teorico coltivò il gusto per la sperimentazione e il dubbio, alieno da ogni dogmatismo e contrario ai tabù. La sua elaborazione, nel decennale della scomparsa, deve stimolare la dottrina, la politica del diritto, le parti sociali a interrogarsi sulle soluzioni migliori che conferiscano stabilità ed efficienza al sistema di relazioni industriali nel nostro Paese, con strumenti legali che guardino al futuro e non servano a giustificare una sorta di corporativismo semi-pubblicistico, imperniato sulla nozione di “sindacato comparativamente più rappresentativo”, che inibisce l’ormai irrefrenabile pluralismo sindacale e sociale, sulla base dei principi di libertà e pluralismo sanciti dall’art. 39, I comma, della Costituzione.
Ricordare Giugni e il suo pensiero giuslavoristico deve servire anche a sviluppare il dibattito su queste tematiche.
Maurizio Ballistreri