Alla conferenza stampa di presentazione del PSES, il progetto di sviluppo economico e sociale per le aree terremotate, tenutasi in Cgil il primo giugno, sono state proiettate immagini recenti delle aree del sisma. Le case, le chiese ancora sventrate come erano dopo le 3 terribili scosse di agosto, ottobre e gennaio; cumuli di macerie dove c’erano borghi e frazioni. Le aree predisposte per accogliere le “casette” o le scuole, le poche “casette” installate. Soluzioni “autonome” fatte di roulotte, baracche per giardino, qualche tenda e persino nuove abitazioni prefabbricate, acquistate da chi non vuole allontanarsi dalla propria casa inagibile. Per il resto, ovunque, paesaggi urbani spopolati.
È stato scelto di accompagnare la proiezione delle foto con le note della Passione secondo Matteo di Bach, a indicare il sentimento di partecipazione del sindacato al dolore e alla devastazione della vita di quelle popolazioni. Se invece della solidarietà fosse prevalso il desiderio di denuncia, si sarebbe dovuta usare la musica di Macbeth. Perché vi sono almeno tre fantasmi di Banquo a gridare la necessità di giustizia.
Il primo riguarda la rimozione del tema stesso del terremoto dai giornali e dai media. Nessuno ne parla più: la tragedia fa notizia, la ripetizione della tragedia no, diventa routine e sparisce dalle cronache. Non è solo una critica a certo modo di fare informazione, è purtroppo la conferma che la “società della comunicazione” vive di orizzonti e tempi brevi. A nessuno interessa sapere, oltre la cronaca, se è cambiata e come una certa situazione. Nemmeno alla politica. Nelle agende di Governo e partiti il terremoto non c’è più, “archiviato” nei decreti votati in Parlamento (malgrado le critiche di parzialità e insufficienza) e nelle competenze affidate ai soggetti preposti: la Protezione Civile e il Commissario alla ricostruzione. Se ne occupino loro: l’ordinaria quotidianità non interessa. In attesa, il prossimo autunno, di riscoprire i disagi delle persone e tornare a parlare di emergenza per qualche settimana. La frase emblematica che racchiude questo diffuso desiderio di rimozione è quel “Non vi lasceremo da soli”, ripetuto più volte ad ogni scossa e abbandonato tra le macerie di agosto, ottobre e gennaio.
Il secondo fantasma che compare nelle contraddizioni dell’emergenza e della ricostruzione è l’inadeguatezza degli apparati istituzionali dello Stato (della Repubblica, dice la Costituzione) ad avviare progetti concreti di ripristino delle condizioni normali di vita di quelle aree. Le Regioni non si coordinano fra loro (pur essendo i presidenti vice commissari alla ricostruzione) e non dialogano con le organizzazioni sociali, le Province hanno ancora competenze proprie ma non più risorse e personale per svolgerle in maniera adeguata, i Comuni capoluoghi sono inadatti a gestire problematiche di area vasta, i Comuni minori del cratere non sono spesso in grado di corrispondere alle necessità amministrative dell’emergenza (e nemmeno, in alcuni casi, dell’ordinaria amministrazione). Così abbiamo assistito a diverse velocità e gradi di efficacia dell’intervento regionale, ad allarmi non colti nei comuni, a stime di danni esagerate, ad allarmi diffusi ma non giustificati da parte degli enti che si occupano dei rischi. A un grande sforzo di solidarietà da parte del Paese, alla concentrazione delle risorse solo in alcune aree o settori, per mancanza di coordinamento. Al diffondersi di un sentimento di abbandono e di rancore nei confronti dello Stato, e persino a una “marcia su Roma” organizzata da alcuni sindaci.
Il terzo fantasma che incombe sui destini delle zone del sisma e anche delle aree a rischio del Paese è il progetto governativo “Casa Italia”. È stato annunciato a ottobre 2016 come alternativa all’intervento in emergenza e come piano pluriennale di prevenzione del Paese ma è subito scomparso sotto le macerie del referendum del 4 dicembre. Niente più di un titolo, peraltro discutibile, visto che un programma di riduzione preventiva dei rischi non può riguardare solo le modalità di costruzione delle abitazioni. La tipologia e l’estensione delle mappe dei rischi esistenti nel Paese (sismico, ma anche idrogeologico, vulcanico, industriale, ambientale, della salute, ecc.) richiederebbero davvero un piano pluriennale di intervento. Non solo a limitazione dei danni causati dagli eventi catastrofici ma per ridurre le probabilità che accadano.
È questa invece la logica che muove il Progetto di Sviluppo della Cgil per le zone del sisma e per le aree interne del Paese. La preoccupazione che un progressivo spopolamento e la chiusura della attività economiche locali rendano molto difficile la sopravvivenza di quelle comunità.
“Ricostruiremo tutto dov’era e com’era” è un’altra delle frasi senza senso che la politica ha diffuso a man bassa durante gli eventi sismici. “Dov’era” spesso non c’è lo spazio nemmeno per rimuovere le macerie e “com’era” significa non ridurre i rischi per il futuro, non solo quelli sismici. Il Progetto di sviluppo della Cgil, al contrario, parte dalla necessità di ricostituire i servizi e le infrastrutture necessarie, con il massimo di contenuto innovativo possibile. Le multiclassi delle scuole elementari, disperse nei borghi e nelle frazioni, vanno sostituite con plessi scolastici veri, dotati dei trasporti necessari al trasferimento dei bambini. La sanità baricentrata sui pochi ospedali delle città e il servizio del 118 non è in grado di corrispondere alle esigenze di prevenzione e cura primaria della popolazione anziana, pertanto va sostituita con servizi di assistenza diffusi sul territorio. Il sistema di distribuzione dell’energia elettrica delle zone montagnose necessita della presenza di squadre di pronto intervento e di manutenzione, specie nella stagione invernale. Gli uffici postali e le farmacie debbono restare aperti anche nei piccoli comuni. Le infrastrutture stradali e ferroviarie devono consentire trasporti rapidi delle persone e delle cose. Le telecomunicazioni debbono poter funzionare su banda larga anche nelle zone interne.
Questo il tessuto minimo di interventi per arginare lo spopolamento già presente prima del sisma e per ricostituire le condizioni di insediamento delle comunità. Senza questi servizi la ricostruzione non solo sarà molto lunga, ma rischia di essere anche inefficace.
http://www.cgil.it/terremoto-cgil-un-progetto-sviluppo-ricostruzione-economica-sociale/