Il diario del lavoro ha intervistato il segretario generale della Filt Cgil, Stefano Malorgio, in merito alla situazione della logistica. Per Malorgio, alcuni problemi della settore derivano da macro-problemi su scala nazionale, quindi più ampi del perimetro della logistica, che comunque il sindacato è stato in parte in grado di arginare; per il sindacalista, è quindi urgente e necessario l’intervento del legislatore per mettere ordine sulla logistica tramite delle norme sia in tema di appalti che di responsabilità in solido delle aziende.
Malorgio, facciamo una breve fotografia della logistica, cosa comprende e chi ci lavora in Italia.
Il settore della logistica comprende tra gli 800mila e un milione di lavoratori. Il contratto della logistica è il secondo contratto privato in Italia, quindi stiamo parlando di un contratto ampio, che comprende autotrasporto merci, corrieri, spedizionieri, cooperative e appalti logistica, magazzini generali e del freddo, logistica pura, agenzie marittime appalti militari, e-commerce e adesso anche i riders.
La lamentela generale è che il sindacato non c’è, è assente, o rappresenta una piccola parte del mondo della logistica.
Purtroppo, quando parte il treno mediatico è difficile fermarlo. La rappresentazione che il sindacato dentro a questo mondo non ci sia è veramente una follia. Su 160mila iscritti alla Filt Cgil, più della metà sta nella logistica, con Cisl e Uil che hanno una condizione differente. Dentro questo settore il sindacato è abbondantemente rappresentativo e abbondantemente superiore a qualsiasi forma di sindacalismo autonomo.
La vastità di questo settore non vi è da ostacolo alla rappresentanza?
Non proprio, perché il contratto della logistica è di filiera, ed è la caratteristica che rappresenta tutti i lavoratori, sia diretti che indiretti, ed esiste addirittura un obbligo contrattuale di applicazione del contratto agli appalti. Quindi un’unica scala parametrale, livelli unici, che tiene insieme tutta la filiera. Le confesso, noi per assurdo ci siamo posti il problema opposto, cioè del fatto che siamo schiacciati molto sulla rappresentanza verso il basso e poco verso la parte dei lavoratori diretti, dove stiamo perdendo gradualmente rappresentanza, mentre siamo molto più rivolti verso gli appalti, nei magazzini, nei driver. Quindi l’esatta rappresentazione contraria a quella che emerge, giornalisticamente parlando.
Non è più come anni fa insomma
Esatto, quella viene fatta oggi sulla rappresentanza è una lettura che andava bene 10 o 15 anni fa. Quando il settore è esploso, il sindacato si è ovviamente trovato spiazzato, ma dopo più di un decennio, con il contratto di filiera, il lavoro dei delegati, la situazione si è totalmente ribaltata.
Con Amazon è stata una bella sfida per il sindacato
Si, la multinazionale è stata un altro elemento caratteristico di questi anni, un grande elemento di orientamento del mercato. La battaglia nazionale che stiamo facendo su Amazon potrebbe produrre per la prima volta un accordo dove un sindacato viene riconosciuto da Amazon. Ricordo che noi siamo partiti sindacalizzando i driver di Amazon, cioè quelli più esterni al loro lavoro.
Gli appalti nel vostro settore quindi sono molto determinanti, come li regola il vostro contratto?
Uno degli effetti del contratto è che il lavoro negli appalti aumenta come costo e valore. Perché se si applica lo stesso contratto, diminuisce la convenienza nell’appalto. E questo aspetto sta producendo il tema delle internalizzazioni: i lavoratori da dipendenti dell’appalto diventano dipendenti diretti dell’azienda committente, insomma vengono assorbite le lavorazioni esterne e di conseguenza i lavoratori stessi. Questo è un elemento importante di accorciamento della filiera. Inoltre le aziende, a furia di appaltare e sub-appaltare, hanno perso il controllo del ciclo produttivo, e grazie al contratto si rimette ordine in questo senso.
Ci sono altri problemi che state affrontando in merito?
Si, anche se non è tipico del settore ma è un macro-problema strutturale, cioè la destrutturazione del sistema degli appalti. Mi riferisco all’intervento della Biagi, il d.lgs. 276 del 2003, sulla legge del 23 ottobre 1960, n. 1369 cioè sul divieto di intermediazione di manodopera. Siamo a quasi venti anni da questo intervento che ha sostanzialmente liberalizzato il sistema degli appalti.
In che senso?
Perché quell’intervento ha tolto la clausola che diceva sostanzialmente “stesso lavoro, stesso salario”, cioè l’appalto si può fare ma solo per motivi organizzativi e non di riduzione del costo del lavoro. Ma con la Biagi questa clausola viene eliminata. A questo si aggiungano una serie di norme che hanno indebolito la funzione storica della cooperazione con una distinzione molto debole sul piano sostanziale tra cooperazione vera e finta. Il giusto strumento dello stato di crisi, che è funzionale in una cooperativa vera, diventa uno strumento solo per ridurre i salari e vincere appalti in una cooperativa finta. Un mix che è micidiale, tra abbattimento delle norme sugli appalti e finte cooperative. Tutto questo è successo in tutti gli appalti, non solo nella logistica.
E come avete reagito a questa dinamica?
Con il contratto di settore, che prova a riunire ciò che la legge aveva diviso. Perché lo smontaggio del sistema degli appalti ha prodotto un impoverimento delle fasce più basse del lavoro. Un altro aspetto che influenza il nostro settore è l’assetto del Paese. Se l’Italia non ha aziende, driver nazionali, il pezzo di lavoro che facciamo è povero. Pensiamoci: DHL è tedesco, TNT è Olandese, GLS è Inglese, abbiamo dalla nave fino al singolo terminalista tutta la filiera di un Paese, che ha cinque giorni di autonomia di scorte, in mano all’estero. Rimane da noi solo la parte di lavoro del nastro trasportatore, che non crea valore aggiunto. L’eCommerce ha dato un altro colpo, perché se tutto si scarica sul costo del trasporto, quel pezzo di lavoro diventa più povero.
Che cosa fare?
La parte più povera del lavoro è fuori filiera. Dentro la filiera, cioè quando il committente è DHL, TNT e così via, si ha un contratto e si può chiederne l’applicazione. Fuori dalla filiera, il grande committente della grande distribuzione organizzata, così come la grande azienda metalmeccanica, scarica sulla logistica tutta una serie di risparmi e abbassa i costi.
Nella pratica come funziona questo meccanismo?
L’azienda semplicemente applica un altro contratto, che ha costi più bassi. Mentre nella filiera è stato introdotto un elemento di obbligatorietà nell’applicazione del contratto, sul quale si può anche fare la lotta, in Italia ad oggi non esiste un obbligo di applicazione contrattuale per legge. Fuori dalla filiera si applicano altri contratti, e questo aspetto non può risolverlo il nostro contratto ma solo la legge.
Come dovrebbe intervenire la legge?
Assumere il principio di intervento fatto sugli appalti pubblici: se appalti la logistica della tua azienda i costi del lavoro di riferimento sono dati da tabelle minime definite sulla base del contratto nazionale. Quindi serve che il governo intervenga, consentendo così di migliorare la condizione dei lavoratori del trasporto fuori filiera, ma non basta. Serve anche un altro intervento di responsabilità, in tutti i sensi.
Quale?
La ricostruzione, in capo alla vera azienda leader che appalta il lavoro, della responsabilità in solido. Principio che è stato indebolito nel corso del tempo e che va assolutamente rafforzato. Perché altrimenti un’azienda chiude, fallisce, esce dall’Italia, e poi chi ne risponde? Se non si risale alla testa della filiera indicando precisamente chi ha la responsabilità di quanto è accaduto sotto, le aziende committenti non si responsabilizzeranno mai e non si occuperanno di cosa accade realmente nella catena degli appalti.
Dovrebbe essere normale la responsabilità del vertice in un sistema gerarchico moderno no?
Invece non è così. Per dire, in un consorzio di cooperative riuscirebbe a districarsi a capire chi è responsabile? Guardi, tutti questi opinionisti che adesso sono diventati esperti di logistica, sono gli stessi che quando ci furono le norme che liberalizzavano gli appalti, applaudivano. È questo che mi fa rabbia. Adesso il paradosso è che non si chiede il conto alla politica ma al sindacato. Ma come dov’è il sindacato? La Biagi ed altri interventi non li abbiamo fatti di sicuro noi. La politica parla spesso di responsabilità sociale dell’impresa, ma io credo nei rapporti di forza, quindi questa responsabilità si costruisce su norme, sulla contrattazione, anche in maniera punitiva quando questa non viene rispettata, altrimenti stiamo solo chiacchierando del nulla.
Emanuele Ghiani