Non è stato un caso e neppure un’eccezione quello che è successo nei giorni scorsi a Novara: lo scontro fisico tra lavoratori poveri e la morte di uno di essi, Adil Belakhdim, sindacalista dello SI Cobas. In realtà ci troviamo di fronte alla crescita di un pezzo sempre più importante e molto sregolato di mondo economico e del lavoro: non una parte piccola e marginale, ma un segmento di dimensioni crescenti di cui il resto dell’economia ha bisogno.
Negli scorsi mesi abbiamo (giustamente) dedicato l’attenzione alla difficile configurazione delle tutele per i riders: uno degli aspetti più visibili ed ambigui di questo fenomeno impetuoso. Ma ci siamo dimenticati che la pandemia aveva dato un’ulteriore spinta al balzo dei giganti delle piattaforme tecnologiche e alla loro rete organizzativa pervasiva, che trovano nella logistica il loro anello operativo.
Abbiamo (giustamente) molto parlato del boom, necessitato, del lavoro a distanza, ma ci siamo scordati quasi sempre che questo era reso possibile dai tanti che lavorano – e hanno inevitabilmente continuato a lavorare – in presenza e manualmente nella filiera delle consegne. Abbia potuto rimanere a casa grazie a loro, al fatto che, puntuali e non considerati, ci portavano direttamente nelle nostre mani tutti i prodotti necessari e disponibili (per chi ha conservato un reddito nonostante il cataclisma del virus e dell’economia). Oggi in tanti scoprono che questi lavoratori c’erano, erano necessari e nello stesso tempo erano ‘invisibili’, ma solo perché un fatto estremo ci costringe tutti a misurarci con questo dato.
Insomma le disuguaglianze di posizioni e di vita sono ancora aumentate, anche nel corso di questo disgraziato periodo. Le distanze tra chi svolge lavoro cognitivo e chi lavora sul campo (nella manifattura, nella sanità, nella logistica etc.) non sono mai state così visibili ed ampie nella storia dell’umanità.
Tali disuguaglianze sono cresciute anche grazie alla pandemia. La domanda verso le attività e i prodotti che passano dalla logistica sono decisamente aumentate. Ma solo marginalmente questo incremento esponenziale è stato affrontato allargando il numero dei lavoratori. In larga misura è stato conseguito a spese di un ulteriore peggioramento nei ritmi e nelle condizioni di lavoro di questi invisibili, molto spesso immigrati. Né la loro indispensabilità ha modificato il tratto di fondo dei bassi o bassissimi salari che caratterizza questi lavori e la loro scarsa considerazione sociale ed economica. Il contratto della logistica evita l’assenza di qualunque regola e forse il far west, ed è dunque importante che ci sia, ma non costituisce una cornice di protezione così forte da invertire questo quadro.
Ecco dunque una componente – destinata ad essere sempre più centrale – del mondo produttivo digitalizzato. Dominato da mega-aziende in cui la tecnologia comanda (il famoso ‘algoritmo), facendo miscelare un complesso di attività che fuoriescono dai confini settoriali classici, e sottomettendo i tempi e i modi di svolgimento del lavoro di tante persone, molte delle quali sono disperse in tanti rivoli e stentano anche a trovare un qualunque contatto tra loro.
Di questa dispersione è il riflesso la stessa configurazione dell’azione sindacale. Intanto diciamo subito che mentre la contrattazione è in larga parte assente negli Usa, in Europa troviamo tracce e tentativi di una presenza sindacale organizzata (che stanno arrivando fino agli stabilimenti di Amazon). E questo va considerato come un fatto positivo ed una premessa importante per ulteriori sviluppi.
Resta però il fatto, ben dimostrato in un articolo di Ambra e Pulignano, che i sindacati, nello sforzo di avvicinarsi a questo mondo e di rappresentarlo, hanno subito la segmentazione delle loro logiche d’ azione ( di quella che avremmo chiamato con Pizzorno ‘azione di classe’). In effetti il radicamento sociale e conflittuale dentro questo universo degli invisibili è stato praticato soprattutto dai Cobas ed equivalenti, che hanno privilegiato la rappresentanza immediata militante e da vicino (non è casuale che il sindacalista ucciso appartenga a questo tipo di sindacalismo). Mentre da un altro lato i sindacati confederati hanno lavorato, ed utilmente, per istituzionalizzare questo fenomeno e includere questi lavoratori nelle reti contrattuali, a partire dall’estensione del contratto nazionale della logistica.
Si è così configurata una implicita ma non felice divisione del lavoro, che ha aumentato la concorrenza intersindacale e indebolito il potere di pressione dell’insieme delle organizzazioni. Questo ci ricorda che riorganizzare la presenza sindacale è una parte del problema di cui stiamo parlando. Forse questa divisione dei ruoli è stata utile per una fase, ma adesso – mettendo da parte le bandiere – il nodo riguarda una sintesi più adeguata delle tutele disponibili, e diciamolo pure la capacità di ridurre lo sfruttamento.
Questo ovviamente non dipende solo dai sindacati e dalle relazioni industriali, il cui ruolo resta però rilevante, ma richiede la consistenza e concatenazione di diversi tasselli. Quello internazionale, dove l’Unione europea comincia muoversi verso la tassazione dei grandi colossi e getta le basi – con la direttiva sulla digitalizzazione – per rafforzare la contrattazione preventiva delle scelte che impattano su questi ambiti e sui tanti lavoratori coinvolti.
Quello nazionale che riporta ad interrogarsi su un aggiornamento delle regole del gioco e dello stesso Statuto dei lavoratori (Conte) in direzione di un suo allargamento. Una richiesta classica delle Confederazioni, che può trovare oggi nuova linfa per essere sviluppata. Ma questa concatenazione – da curare e rafforzare – ha bisogno di protagonisti e di strumenti che, entrambi, latitano.
I protagonisti dovrebbero materializzarsi in una sponda politica riformatrice, che stenta a decollare: anzi per dirla tutta preoccupa la latitanza del Pd (che non riguarda solo questo tema). Quanto agli strumenti appare ancora più chiara ed urgente la necessità di ricostruire un compromesso sociale accettabile e socialmente sostenibile tra logiche del mercato e diritti del lavoro e delle persone. Dunque quel patto sociale di cui da tempo parliamo, ma che certo al momento non prende consistenza nel radar del nostro sistema pubblico.
Mimmo Carrieri