Scrivono, scrivono, scrivono. Programmi di riformistico buon senso, peraltro con poche varianti fondamentali, ma nello stesso tempo prova dell’esistenza in vita, stilettate l’un l’altro, sassolini tolti dalla scarpa. La battaglia del Pd si combatte anche in libreria. Paolo Gentiloni: “La sfida impopulista. Da dove partire per tornare a vincere”. Marco Minniti: “Sicurezza è libertà. Terrorismo e immigrazione: contro la fabbrica della paura”. Carlo Calenda: “Orizzonti selvaggi. Capire la paura e ritrovare il coraggio”. Pier Carlo Padoan: “Il sentiero stretto…e oltre”. Enrico Letta: “Ho imparato. In viaggio con i giovani sognando un’Italia mondiale”. Matteo Renzi: “Un’altra strada. Idee per l’Italia di domani”.
Luminosi annunci di un futuro migliore. Impera, sempre, la fiducia in quelle che Giacomo Leopardi chiamava con ironica sofferenza “Le magnifiche sorti e progressive” dell’umana gente. La stessa ottusa e miope fiducia che fu seminata a piene mani dopo la caduta del muro di Berlino e che, invece di un nuovo ordine mondiale in nome della pace, dello sviluppo globale e della convivenza, ha fatto germogliare i fiori velenosi del nazionalismo, dei muri e dell’intolleranza. Doveva essere la fine delle ideologie, anzi la fine della storia, come profetizzava Francis Fukuyama, che ora sembra ripensarci almeno in parte e se la prende con la crisi identitaria della sinistra. Ma il fatto è che il modello di civiltà occidentale, il libero mercato, la democrazia liberale, il cosmopolitismo stanno sempre più arretrando sotto i colpi delle orde sovraniste e nativiste.
Lo psichiatra Massimo Recalcati ha scritto un articolo per riproporre l’opera di Freud “Al di là del principio di piacere”, nel quale, argomenta, il padre della psicanalisi teorizzò che “l’uomo non vuole il proprio bene, non agisce ispirato dall’ideale naturalistico-edonistico del proprio benessere ma ricerca (inconsciamente) il proprio male, la propria distruzione”. Torniamo a Leopardi e alla sua citazione di Giovanni l’Evangelista: “E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce”.
E allora, a guardarli esposti in bella mostra, i libri dei leader del Pd, passati, presenti o aspiranti tali, sembrano effimere vetrine di una politica ostinatamente superficial-positivista e autoreferenziale. Gli eredi del Pci, del socialismo, del cattolicesimo democratico pensano ancora di potersi candidare alla guida di un Paese senza scendere nei suoi meandri. Forse, prima di impegnarsi nei loro presuntuoselli pamphlet propagandistici, dovrebbero leggere qualche testo più stimolante.
Un suggerimento? “Sulla vocazione politica della filosofia”, nel quale Donatella Di Cesare parla di Walter Benjamin e dell’immagine del filosofo come uno stracciaiolo: “Alle prime luci dell’alba raccatta rimasugli di discorsi, brandelli di lingua, per gettarli nel suo carretto, bofonchiando caparbio, un po’ ubriaco. Non senza tuttavia lasciar di tanto in tanto sventolare beffardamente nel vento del mattino queste mussole: umanità, profondità, approfondimento”. La studiosa, in una recente intervista, ha sostenuto che secondo Benjamin, “la sinistra ha il compito di organizzare il pessimismo”.
L’ottimismo ostentato, di facciata, è uno specchietto per le allodole. E i richiami della Destra attirano di più.
Marco Cianca