I provvedimenti per arginare la diffusione del Coronavirus in Italia hanno portato circa un milione di persone a lavorare a distanza, con una modalità che si può definire “telelavoro d’emergenza”. Imposta da cause di forza maggiore, questa rivoluzione delle consuetudini sta portando una certa “agilità” del mondo del lavoro ma non si può ancora considerare (https://www.manageritalia.it/it/lavoro/smart-working-e-telelavoro) un duraturo passo in avanti verso lo smartworking, anzi: potrebbe rivelarsi un boomerang. Specialmente se si intende usare la sperimentazione di questi giorni per trarre le prime conclusioni sulla maggiore produttività ottenuta usando modalità lavorative non usuali per l’azienda.
Il dibattito sulle conseguenze del cambiamento forzato di questi giorni sulle organizzazioni è vivace, in particolare nella comunità manageriale, anche perché nei territori maggiormente interessati dai provvedimenti per il Coronavirus – Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Lombardia, Piemonte, Veneto – operano 80mila dei 113mila dirigenti d’azienda privati presenti in Italia.
Dal punto di osservazione di Manageritalia, oltre agli innegabili e imprevedibili risvolti negativi – in primis a livello sanitario e sulla situazione economica – l’emergenza potrebbe essere anche una occasione per introdurre alcune innovazioni che il mondo del lavoro italiano aspetta. Specialmente nel terziario, dove esistono settori spesso incentrati su attività immateriali svincolate dalla presenza fisica dei lavoratori negli stabilimenti produttivi.
L’affermazione dello smartworking richiede processi, in parte già avviati e adesso da accelerare, che riguardano diversi aspetti del rapporto tra le aziende e i lavoratori: l’introduzione delle tecnologie digitali per operare da remoto, la ridefinizione delle strutture organizzative e produttive, un utilizzo più sostenibile delle risorse materiali e immateriali, la gestione dei rapporti tra le persone, le politiche di retribuzione e di welfare. Sono ambiti complessi e interdipendenti dove tutti possiamo diventare più “smart”, accogliendo proattivamente i cambiamenti che stiamo vivendo oggi e che vivremo ancora di più, volenti o dolenti, domani e dopodomani.
Per farlo, come auspica Guido Carella (https://www.manageritalia.it/it/economia/ripartire-dopo-il-coronavirus-manager-e-smart-working) dovremmo cogliere l’emergenza Coronavirus come un’occasione per “cambiare mentalità, razionalmente, innovare prassi e norme per arrivare al lavoro del futuro, organizzato in modo più intelligente grazie alle nuove tecnologie e anche a una managerialità più diffusa”. Anche nell’ottica di prepararci alla prossima crisi, sviluppando la “famosa” resilienza che sappiamo essere fondamentale per affrontare le crescenti incertezze del mondo (non solo del lavoro) in cui viviamo.
Serve dunque un’evoluzione culturale, senza la quale rischiamo che una volta conclusa l’attuale fase emergenziale si torni a lavorare come prima e si consideri addirittura inefficace lo smartworking. “Passata la festa, gabbato lo santo” dice un proverbio popolare: questo scenario potrebbe verificarsi qualora il frettoloso passaggio al telelavoro d’emergenza non venga adeguatamente accompagnato da una sostanziale revisione della nostra concezione del lavoro e del suo significato, per gli individui e la società.
Per questo auspichiamo una preparazione adeguata, a diversi livelli: l’elaborazione di un quadro normativo stabile, la programmazione di investimenti e incentivi, l’offerta di una formazione specifica, il tempo di sperimentare soluzioni calibrate sulle diverse situazioni di aziende e lavoratori, la verifica dei risultati, lo studio delle criticità, l’adozione di eventuali correttivi.
Le aziende e i lavoratori, in particolare i manager, sono chiamati a partecipare coralmente a questa evoluzione. Le parti sociali, le associazioni datoriali e sindacali, possono dare un contributo determinante. Serve però uno sforzo supplementare dei rappresentanti politici e dei decisori istituzionali affinché l’affermazione dello smartworking si possa consolidare anche in Italia in maniera strutturale, efficace e utile.
Massimo Fiaschi