James Joyce fa dire al poeta George Russel: “Tutti questi interrogativi sono puramente accademici. Voglio dire se Amleto sia Shakespeare o Giacomo I o Essex. Discussioni di reverendi sulla storicità di Gesù. L’arte deve rivelarci idee, essenze spirituali senza forma. La domanda suprema circa un’opera d’arte è da quali profondità vitali essa scaturisca. La pittura di Gustave Moreau è una pittura di idee. La poesia più profonda di Shelley, le parole di Amleto mettono il nostro spirito in contatto con la saggezza eterna, il mondo delle idee di Platone. Tutto il resto è speculazione di scolaretti per scolaretti”.
Ma sempre nell’Ulisse, contravvenendo a tale ammonimento, Stephen Dedalus insiste nell’argomentare che il drammaturgo non si identifica con Amleto ma con il re di Danimarca ucciso dal fratello usurpatore e la regina colpevole sarebbe di conseguenza Ann Hathaway Shakespeare, la donna di otto anni più grande che sposò dopo essere stato sedotto, se non violentato, e che poi lo avrebbe tradito con il fratello Richard.
La speculazione degli scolaretti va avanti da secoli. E ora altri due libri si aggiungono allo sterminato elenco dei titoli volti a svelare il mistero dell’immenso Autore. In uno, Mojmir Jezek, con la collaborazione di Marianna Iannacchione, ripropone, con dovizia di particolari, la tesi che a scrivere gli immortali capolavori sia stato l’umanista John Florio. Nel secondo volume fresco di stampa, la giornalista americana Elisabeth Winkler ritorna invece a sostenere che fosse in realtà una donna. Tra i nomi, fa quelli “della contessa di Pembroke e mecenate Mary Sidney e della poetessa di origine italiana nata a Londra Emilia Bassano”. Ma restano sempre, tra i maggiori indiziati, Francis Bacon, Walter Raleigh, Ed Spencer, Christopher Marlowe, il duca di Oxford Edward De Vere.
“Buon amico, per amore di Gesù rinuncia a scavare la polvere che è qui rinchiusa. Sia benedetto l’uomo che risparmia queste pietre e maledetto chi muove le mie ossa”. Questo l’epitaffio sulla tomba di Stratford-upon-Avon. Eppure, qualcuno osò sfidare la maledizione: dalle indagini condotte con il georadar nel 2016, a quattrocento anni dalla morte, risulta mancante il teschio e gli studiosi ipotizzano che fu rubato da cacciatori di trofei alla fine del Settecento.
Povero Shakespeare, senza testa e con un’identità negata.
Dice re Lear al conte di Gloucester: “Appena nati, vedi, noi si piange/perché ci si ritrova all’improvviso/su questo palcoscenico di pazzi…” (atto quarto, scena sesta). Parole che secondo Harold Bloom indicano tracce della letteratura sapienziale biblica e in particolare dell’Ecclesiaste: “Anch’io appena nato ho respirato l’aria comune/e sono caduto su una terra uguale per tutti/levando nel pianto uguale per tutti il mio primo grido”. Ma poi lo stesso critico ammette che il Bardo “supera di gran lunga il sublime pathos della fonte a cui si ispira” e rimarca: “Ben Jonson aveva perfettamente ragione nel proclamare che le opere shakespeariane non sono il patrimonio di un singolo periodo storico ma di ogni epoca”.
Un universalismo né cristiano né pagano, né ebraico né protestante, né nichilista né esuberante, né romantico né esistenzialista, né interpretabile con l’analisi freudiana né riconducibile a formule sociologiche. Creatore della lingua, secondo Wittgenstein. Ma anche questa definizione appare riduttiva.
Egli sfugge ad ogni categoria. La sua inventiva non ha confini. Una persona unica che ha catturato l’anima del mondo? O più persone? O nessuna persona? “Vi sono in cielo e nella terra più cose di quante ne immagini la nostra filosofia”, (Amleto, atto primo, scena quinta). Destino e volontà. Burla e tragedia. Paura e libertà. Amore e morte. Morale e desiderio. Coraggio e malvagità.
No, davvero non ha senso interrogarsi su chi fosse davvero Shakespeare. Questo, per dirla ancora con Bloom, è “lo scandalo” che porta il suo nome.
Macduff a Malcom: “Ora ho perduto ogni speranza” (Macbeth, atto quarto, scena terza). Prospero ad Ariele: “Hai già dimenticato la perfida strega Sicorace, che gli anni e i peccati avevano reso curva come un uncino?” (La tempesta, atto primo, scena seconda). Falstaff a Bardolph: “Va’ a prendermi un quartino di quello spagnolo e intingici dentro del pane abbrustolito” (Le allegri comari di Windsor, atto terzo, scena quinta).
Grazie, Shakespeare, chiunque tu sia.
Marco Cianca