Nei giorni scorsi a Londra i riders di Deliveroo, società di consegne a domicilio, si sono rivolti al sindacato Independent Workers Union of Great Britain per vedersi riconoscere davanti al tribunale i propri diritti di lavoratori dipendenti. I riders torinesi di Foodora, analoga società di consegne pasti a domicilio, sono in agitazione contro le condizioni lavorative imposte dalla società e la mancanza di tutele economiche, contrattuali e fiscali che regolamentino la loro posizione lavorativa, senza però fare appello al sindacato. A questo proposito, Il diario del lavoro ha intervistato il segretario generale della Cisl di Torino, Domenico Lo Bianco.
Quali sono in sintesi i motivi della protesta dei riders Foodora?
I riders sono giovani universitari che per lavorare presso Foodora mettono a disposizione la loro strumentazione, dalla bici al motorino allo smartphone, lavorando in condizioni inaccettabili imposte dall’azienda. Questo lavoratori vengono impiegati a chiamata, senza turni, senza contratto e nessuna regolamentazione, venendo inquadrati come liberi professionisti e non come dipendenti quali sono. Rispetto a questi aspetti l’azienda sembra sorda a qualsiasi tipo di richiesta, addirittura passando da una paga oraria di 5 euro a un cottimo di 2,70 alla consegna.
L’accettazione di questo tipo di lavoro crea una corresponsabilità nel danneggiamento del mercato del lavoro?
Sicuramente. Si crea un dumping contrattuale, un precedente pericoloso per un lavoro precario come quello dei riders. Non si capisce perché non vengano considerati dipendenti ma liberi professionisti
La “on demand economy” e la “sharing economy” hanno in qualche modo danneggiato il mercato del lavoro?
Lo stanno destrutturando. Questi sono settori in forte espansione, nascono nuove forme di lavoro in una società che cambia, così come cambia il tessuto e il sistema produttivo. Il problema è che queste nuove tipologie lavorative hanno bisogno di una disciplina, di una regolamentazione non solo da un punto di vista economico, ma anche contrattuale e fiscale.
I riders londinesi di Deliveroo si sono rivolti all’Independent Workers Union of Great Britain. Perché i riders italiani non si sono rivolti a un sindacato?
I riders londinesi si sono organizzati e presentati davanti a un giudice per farsi riconoscere le giuste condizioni economiche, contrattuali e di sicurezza per poter lavorare, ma vivono comunque una situazione molto più controllata, dove c’è un salario minimo di 10 sterline all’ora. Per quanto riguarda l’Italia, con grande rammarico la situazione interroga anche il mondo sindacale. I riders hanno fatto una assemblea autoconvocata con i Cobas, che li rappresenta, e noi abbiamo partecipato nell’ascoltare e nel dare vicinanza e sostegno. Ma ci stiamo anche attivando, come Cgil Cisl e Uil, affinché le istituzioni si attivino per avviare in sede di conferenza stato-regioni un confronto col governo sulla regolamentazione della gig economy.
È possibile rintracciare un allontanamento dei giovani dal classico sistema di tutela sindacale?
Credo nei giovani la crisi abbia bruciato il lavoro, la speranza e la fiducia, rendendoli più fragili e insicuri. I giovani sono in cerca di punti di riferimento, che purtroppo non vedono nella politica così come nel sindacato. Noi stiamo cercando di ridurre questa distanza attraverso l’alternanza scuola lavoro, con la legge 107 della Buona Scuola, e abbiamo fatto convenzioni con 7 istituti per avvicinare gli studenti al mondo del lavoro. Il tema forte è quello delle politiche attive, del ruolo dei centri per l’impiego e soprattutto del ruolo più partecipativo, più attivo che devono avere le istituzioni, ma soprattutto associazioni datoriali. I giovani hanno bisogno di essere orientati, indirizzati e integrati in quella che è la società che cambia. Quindi il clima di sfiducia non è solo nel sindacato, ma nelle stesse istituzioni.
Elettra Raffaela Melucci